P.J.
HARVEY
@ Piazza Castello, Ferrara, 6 luglio 2011
Testo
by Gianmario Mattacheo
Anche
quest’anno Ferrara non si fa mancare appuntamenti di spessore
musicale.Per
l’edizione 2011 del “Ferrara sotto le stelle” la DNA Concerti
è riuscita a strappare un sì proprio da P.J.
Harvey, in occasione della sua unica apparizione in suolo
italiano.
Il
concerto di stasera rimane, pertanto, uno degli eventi più
attesi della stagione concertistica 2011 e questo non solo
per l’unicità della data, ma anche perché l’inquieta
e terribile artista inglese è solita concedersi lunghe
pause dai palchi, minacciando in più occasioni di abbandonare
l’attività.
Il
concerto di stasera rientra nel tour atto a promuovere “Let
England shake” che ha visto tornare la Harvey a scrivere,
a nome proprio, un lavoro sulla lunga distanza (dopo il precedente
“A woman a man, walked by” firmato a quattro mani con John
Parish”).
Un
nome di prestigio, dunque, per un festival che si pone al
vertice tra gli appuntamenti musicali italiani. Dal 1996,
infatti, si sono esibiti alcuni dei nomi più prestigiosi
del panorama italiano ed internazionale; insomma, senza riproporre
l’elenco delle star che qui hanno fatto tappa, possiamo solo
affermare che "Ferrara sotto le stelle" ha avuto il merito
di mettere sulla cartina del rock una delle più belle
città del Bel Paese, dopo che l'Unesco ne aveva già
sancito la sua immortalità dal punto di visto storico/artistico
(patrimonio mondiale dell'umanità).
C’è
molta curiosità nel sentire come suoneranno dal vivo
le canzoni del nuovo album; un lavoro ricco di suoni e trovate
(ricordiamo la trombetta stile combattimento che interviene
più volte durante “The glorious land”) in cui la voce
pulita della protagonista parla della guerra e della sua Inghilterra.
Il
contesto è quello piacevole e ben conosciuto di Piazza
Castello; un luogo che rimane suggestivo al punto giusto,
moderatamente raccolto (non ci troviamo di fronte a quei grossi
ed ingestibili festival estivi) e sufficientemente rock. Un'arena,
insomma, in cui gli artisti si sanno esprimere al meglio e
con rinnovata energia (ricordiamo il "disastro" dell'anno
scorso, in occasione dell'unico concerto italiano dei Pixies).
Alle
20.30, la Piazza si presenta già gremita e composta
da un pubblico eterogeneo, come prevedibile quando il concerto
è uno di quelli “importanti” come questo.
Con
un’ora di ritardo rispetto a quanto indicato sul biglietto,
fa l’ingresso sul palco P.J. Harvey, seguita da John Parish,
Mick Harvey e Jean Marc Butty.
Ci
colpisce l’immagine della Harvey: con un lungo ed algido vestito
bianco (quasi una sposa di un libro per bambini) ed un’acconciatura
che ricorda una streghetta scarmigliata carica di piume, la
cantante si avvicina al microfono per intonare “Let England
shake” prima canzone dell’ultimo ed omonimo lavoro in studio.
In
forma e subito aggressiva l’artista è un misto di dolcezza
ed inquietudine; un’eterna bambina irrequieta che ha da poco
spento le quaranta candeline, ma che conserva una spontaneità
ed un’innocenza, più vicina all’adolescenza che non
all’età dei “grandi” di cui, ormai, anagraficamente
fa parte.
Non
è difficile immaginare come le canzoni di “Let England
shake” costituiscano il corpo centrale del main set odierno;
ci piace, tuttavia, constatare come esse risultino ancor più
credibili live, rispetto a quanto impresso su disco.
Non
sono canzoni che rappresentano il versante più rock
della Harvey o quello più sofferto, ma sono canzoni
in cui il pathos è davvero altissimo ed il coinvolgimento
è totale da parte di tutti.
Poche
sorprese, dunque, nel non vedere la Harvey in versione rock
aggressiva. La sua presentazione in abito bianco ed elegante
ci dice come l’artista stia passando ad una fase più
riflessiva della vita (e dell’arte), quasi a volersi dirimere
da un passato più tormentato e sporco.
A
questo punto è bene fare un passo indietro e rendere
il giusto omaggio a quei “mostri” che la Harvey ha il pregio
di annoverare tra i suoi musicisti.
Mick
Harvey e John Parish sono dei fuoriclasse; musicisti polistrumentisti
che si intercambiano alla chitarra, al piano ed al basso,
con immutata classe.
Ci
piace in modo particolare osservare Mick Harvey. L’ex alfiere
dei “Bad Seeds” e dei “Crime and the city solution” ritorna
ad una platea degna del suo spessore dopo la (presunta non
indolore) separazione dall’amico di sempre Nick Cave.
John
Parish per contro è il collaboratore più stretto
di P.J. Harvey. Album, tour, collaborazioni e quant’altro,
fanno dell’elegante chitarrista una presenza ineliminabile
negli show della Harvey.
“The
last living rose”, “The color of the earth” (cantata da Nick
Harvey), “The glourious land” (anche qui riproposta con l’accattivante
trombetta da combattimento) e “The words that maketh murder”
sono i titoli probabilmente meglio riusciti di “Let England
shake”.
Pescando,
invece, qua e là tra l’ormai ampia discografia (il
primo album risale al 1992) ricordiamo “Angelene” e “The sky
lit up” (da “Is this desire”), ma soprattutto i due estratti
da “To bring you my love”: “C’mon Billy” e “Down by the water”
che rappresentano il vertice musicale dell’intero concerto.
Ci
spiace non poter apprezzare un brano come “Who the fuck”,
anche se in effetti la canzone si sarebbe presentata troppo
cattiva, violenta e sporca per la nivea P.J. Harvey di stasera
(da quell’album è stata ripescata la più accessibile
“Pocket knife”).
In
effetti ci sono ben pochi rimpianti per il concerto di Piazza
Castello. C’è un’artista in forma smagliante che ha trovato,
tra l’altro, un equilibrio rincorso per anni (chissà,
forse ha proprio ritrovato quel cuore che sosteneva di aver
perso nelle prime battute di “Down by the water”!); c’è una
band che suona con una classe strepitosa e che sarebbe capace
di far apparire bravo anche il più incapace dei musicisti
sul globo.
Probabilmente,
avremmo preferito una P.J. Harvey ancora rocker irruente ed
irriverente, ma è inutile negare che quello di stasera
sia stato un concerto caratterizzato da una qualità
altissima, posto in essere da autentici professionisti.