DEPECHE MODE
Memento Mori
CD / LP (Columbia
records / Mute)
Il 22 Marzo del 1993, i
Depeche Mode licenziavano uno dei loro album più
belli, quel “Songs Of Faith and Devotion” che
vedeva la band di Basildon utilizzare per la prima
volta in carriera la più classica strumentazione
Rock ma alle canzoni di fede e
devozione seguivano, fatta eccezione per “Playing
the Angel” e “Ultra”, delle prove deboli, lontane
dalle precedenti pubblicazioni. Esattamente dopo
30anni ed anticipato da un singolo perfetto,
“Ghost Again” brano il cui video (di Anton
Corbijn) riprende l’iconica scena della partita a
scacchi frame dal film “Il Settimo Sigillo” di
Ingmar Bergman, “Memento Mori” regala memorie ed
emozioni passate, una resurrezione attesa da
quella parte di ascoltatori più attenti alla
sostanza che ad altro. Ma facciamo un passo
indietro; nonostante le liriche siano avvolte da
un refrain cupo e dal piglio funereo, il disco
nella sua fase embrionale si avvale ancora della
presenza di Andrew Fletcher, ed il primo evento
luttuoso che influenzerà i testi è la prematura
scomparsa di Mark Lanegan, amico di Gahan nonché
ex-componente dei Soulsevers, progetto nel quale
lo stesso frontman dei DP ha prestato in più di
un’occasione la propria voce. Le 1st sessions del
futuro lavoro sono opera di Gore e Richard Butler
degli Psychedelic Furs; confermato alla produzione
James Ford (ai mixer anche nel precedente
“Spirit”) e scelto come sound
engineer/co-produttrice la bresciana Marta Salogni
(Bjork/David Byrne/Tracey Thorn), un mese prima
dell’entrata in studio viene a mancare Fletch.
Attraverso le ceneri della tragedia, il sodalizio
tra Dave e Martin ritrova quell’equilibrio e
quell’intensità malinconica leitmotiv delle
tematiche “dark” care al gruppo. Il meticoloso
processo di elaborazione inizia negli studi
londinesi di Marta per poi proseguire in quelli
californiani di Gore mentre le finalizzazioni
vocali di Gahan e gli archi di Davide Rossi,
violinista torinese ex Statuto/Coldplay/Siouxsie
tra gli altri, sono registrate agli Shangri-La di
Rick Rubin a Malibù, insomma un asse tra Londra,
Santa Barbara e New York per poi remixare il tutto
nuovamente nella capitale Inglese. Ne viene fuori
un disco plumbeo, distopico, dall’animo blues,
suggestivo nel suo invito a liberarsi dalla paura
della morte fin dall’iniziale mantra di “My Cosmos
is Mine”. La fredda e kraftwer(k)iana “Wakking
Tongue” fluttua tra gli angeli parimenti alla
sublime eternità di “Soul With Me”. “Ghost Again”
eccelle nel suo essere così riflessiva ed a tratti
autobiografica. La tormentata “Don’t Say You Love
Me” così esplicitamente carnale è il preludio a
“My Favourite Stranger”…“un perfetto sconosciuto
si insinua in punta di piedi, ruba la mia ombra e
va dove io vado”. Vita e morte sono due lati della
personalità che ci caratterizzano e talvolta
cedere (“Caroline’s Fingers”) può risultare
perfino terapeutico. “Before We Drown” echeggia
nostalgica “Never Let Me Down Again” su distese di
grano aspettando la rugiada del mattino. “People
Are Good”, soavemente elettronica, giunge in tutta
la sua innocenza. La struggente “Always You”
trasmette lucide vibrazioni d’intenso piacere.
“Never Let Me Go” si illumina palpitante d’un
ritmico (post)moderno ai confini del tempo mentre
la conclusiva “Speak To Me” chiude un cerchio
tappezzato d’icone, dove crescono germogli di
rubella.
“…parlami, ti seguirò;
sto ascoltando il tuo suono ma parlami in una
lingua che posso capire, dammi qualcosa, sarai la
mia droga preferita”.
Costellato di
suggestioni legate alle fragilità d’ogni terra
promessa, “Memento Mori” eccelle nei suoi dodici
momenti di difficile preferenza; ci sono delay
vocali, loop, effetti, riverberi e chitarre
taglienti, il tutto allevato sotto l’algida
maestria dei musicanti, palpitanti in attesa del
plenilunio primaverile.
“Memento Mori” è
semplicemente uno dei dischi più belli ascoltati
negli ultimi anni e poiché il mio amore verso
l’arte della musica varca sciamaniche illazioni,
spero che quanto fin qui esposto diventi un invito
a lasciarvi conquistare.
(Luca
Sponzilli) |