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DEPECHE MODE
17 Luglio 2006, Roma, Stadio Olimpico

testo by by VertigoDj

Tantissima gente rannicchiata come un bimbo pronto ad uscire dal pancione della mamma. La forma ovale dello Stadio Olimpico richiama alla mente lo stato primordiale delle nostre menti. Voci che si rincorrono, quasi sussurrano, un’attesa entusiasmante, da batticuore, pulsazioni a mille che bloccano i pensieri e non danno possibilità espressive. Quel bagliore che acceca il nascituro, si trasforma in un mite e soffuso dna proiettato sulla folla, un disegno luminoso ondulato, una carezza prima dello schiaffo.
Siamo in tanti, i DM tornano per la terza volta in Italia nello stesso anno, impensabile solo fino a pochi anni fa. Roma, la gloriosa capitale di un mondo che muta freneticamente, evoluzioni spontanee di una vita che scorre all’impazzata. Gli anni ’80, gli anni ’90, e ancor prima gli anni ’60, gli anni ’70, ma cosa resterà di questo nuovo millennio? Di certo la vitalità di questi padri padroni della musica elettronica, umili, incantevoli, sensuali, teneramente rock’n’roll, vibranti, immortali, sfuggenti, impossibile non amarli. In sella ad un altro successone planetario (“Playing The Angel”), i DM hanno sfilato comodamente su tappeti rossi, accuratamente stesi dagli artisti presenti nelle charts. Non hanno bisogno di farsi largo, basta sentir il loro nome, basta sapere che “sono tornati” e chiunque, dal jazzista al punkettaro vocifera “prego, fatevi pure avanti, è un onore”.
La genialità è un arte suprema e inarrivabile per il comune mortale, l’elevazione artistica è insita nel gene umano, non si piega di fronte a nulla, e quando la creatività e la spontaneità prendono il sopravvento, non ce n’è per nessuno. “A Pain That I’M Used To” apre il sipario, strappato da urla strozzate, commosse. Una scaletta parzialmente modificata per dar vita ad un concerto unico, per riassaporare il nostalgico passato (“Stripped”, “Photographic”, “Shake The Disease”) e proiettarsi con mente aperta al presente che è già il domani (“Suffer Well”, “Nothing’s Impossible”). E perché no ipotizzare metafore sociali, come la sofferenza delle guerre e la consapevolezza che nulla è impossibile, reazione e azione per cambiare. I DM sono cambiati negli anni, sono cresciuti musicalmente e mentalmente, la musica li unisce e la gente li ama uniti. Certo che Alan… farebbe lacrimare anche la Madonna. Con quella sua eleganza faceva risplendere i suoni e dal vivo non è stato più possibile sostituirlo. Per fortuna sono sparite le coriste nere (per carità, nessun razzismo ma erano insopportabili) ed il buon Martin ha cantato sopra le nuvole, mentre Dave galleggiava nell’aria con le ali degli angeli. Fletch è l’occhio divino, la musica la sua bacchetta magica. “A Question Of Time” è una creatura immortale, il tempo non finisce mai. La “danza dell’asta” è il repertorio migliore di Dave, capace di distruggerti con “In Your Room” e di sollevarti con “Personal Jesus”. I DM sono un’ossessione, un’icona stampata sul cuore, non riesci a toglierti dalla testa quell’elettronica sottocutanea, si insinua prepotentemente dentro il tuo sangue. “Suffer Well” perché il tempo è “Precious”.
Le lancette dell’orologio si colorano di un glam-pop poco propenso a deliziare la muraglia umana dell’Olimpico, ci pensano i lynchiani personaggi proiettati alle spalle dei Nostri a cambiare registro con “Walking In My Shoes”. Giri lo sguardo e ovunque trovi teen-ager, over 30, over 40, tutte le generazioni ballano e cantano insieme, quasi tenendosi per mano. Martin li commuove tutti, la sua voce è un ufo abbagliante, ti rapisce, ti stordisce e ti affascina: “Home”, “It Doesn’t Matter Two”. Ci pensano gli angeli a farci tornare sulla terra con “John The Revelator”. Piena estate, liberi dallo stress e dai pensieri quotidiani, partecipi di una camminata lunga un’eternità per abbracciare attimi, minuti, secondi, da fotografare, filmare, scattare con gli occhi del cervello e conservare dentro. “Behind The Wheel” è ammaliante, uno dei brani più sexy di sempre e nella cornice romana assume significati inebrianti. Preludio a “World In My Eyes” mai così azzeccata come questa sera.
L’occhio sul mondo, l’Olimpico visto dall’alto è lo sguardo della musica sull’Universo, bianco e candido come la purezza. Poche parole, brevi istantanee tra un brano e l’altro, proprio come un live che sembra scorrere velocemente verso la conclusione. Il tripudio generazionale di “Enjoy The Silence”, quello technopop di “Photographic” (inaspettata come un colpo al cuore) per un finale tra i campi di grano, mani al cielo, reach out and touch faith e “Never Let Me Down Again”. Da raccontare ai tuoi figli prima di addormentarsi. Goodnight lovers.

Copyright Rosa Selvaggia