CURRENT
93
@ Teatro Juvarra - TORINO 24 Settembre 2004
Testo
by Oflorenz
foto by Erzsbeth & Nikita
Autunno
dell’anno 2004: Torino è attraversata da un’ondata dapprima
magica ed esoterica, più tardi psichica. Siamo impazziti?
No, almeno non ancora. Stanno infatti per esibirsi nella
nostra città, grazie all’impegno e alla passione del “Larsen”
Fabrizio Modonese Palumbo e della sua organizzazione Deathtripper
(www.deathtripper.com), due fra i massimi rappresentanti
di quella che fu la scena culturale/musicale britannica
più alternativa e anti-convenzionale dei primi anni 80:
Current 93 (organizzato insieme a Post Romantic Empire e
Mutamento) e Psychic TV.
Ma andiamo
con ordine: i primi a calcare la scena sabauda sono i Current
di David Tibet, con una doppia esibizione nel formidabile
scenario del piccolo Teatro Juvarra di Torino. Noi assistiamo
alla prima esibizione del venerdi, anche se forse sarebbe
valsa la pena vederle entrambe, dal momento che a quanto
sembra la scaletta dei due shows sarà differente.
Ma bando al rammarico e spazio all’esaltazione: lo spettacolo
di Tibet e compagni, preceduto dallo show del folk singer
inglese Simon Finn, è di quelli che lascia il segno, altro
che. La “venue” fa la sua parte, con quell’atmosfera antica
e raccolta che non guasta mai in occasioni del genere, tanto
da farci apprezzare ancor di più lo show torinese rispetto
a quello londinese di un anno fa, che pur si tenne in un
posto eccezionale come la Queen Elizabeth Hall. Dicevamo
di Finn: l’amico di Tibet, attualmente collaboratore stabile
anche nella sua “Corrente”, apre le danze con un’accorata
esibizione solista di circa tre quarti d’ora, improntata
su di una sorta di folk dalle tinte acide con solide radici
nei seventies. Il pubblico apprezza le canzoni quasi dylaniane
di Simon, che si aiuta con un corposo set di chitarre acustiche
lungo tutto il corso della propria esibizione.
Sono
giunte le 23, e dopo una veloce preparazione
degli ultimi dettagli sul palco, fa il suo ingresso la Corrente
di Tibet: la fida Julie Woods al violino e al flauto, l’ammaliante
Maja Elliot al piano, John Contreras suona per noi il violoncello,
mentre è lo stesso Finn che ci accompagnerà ancora con la
sua 6 corde acustica. Tibet entra per ultimo, codino e boccoletti
ricci al vento e il solito improbabile completo marroncino
a cui ormai abbiamo fatto l’abitudine. .
L’atmosfera del Teatro è tesa e colma di pathos, l’attenzione
dei convenuti palpabile. Ed in questo scenario partono le
prime note di “Judas as Black Moth”, da “Soft Black Stars”.
Questo è l’abum che più di ogni altro ci accompagnerà durante
la serata, con ben 6 estratti proposti dal gruppo nel corso
dello show.
Tibet appare teso e nervoso anche se conscio del grande
calore trasmessogli dal pubblico, e anche durante i brani
più quieti e meno ritmati (peraltro la maggior parte) oscilla
vistosamente bilanciando il corpo prima su di una gamba
poi sull’altra, e assumendo spesso delle movenze quasi epilettiche.
La voce è però calda e chiara, e il nostro ci dimostra presto
di essere comunque a suo agio saltando giù dal palco e cantando
un intero pezzo a stretto contatto con la prima fila di
spettatori.
Bella la sua dedica al bambino portato in grembo da una
ragazza incinta proprio seduta di fronte a lui, mentre il
gruppo dimostra grande coesione ed affiatamento accompagnando
con naturalezza l’istrionico David in questo fantastico
viaggio pregno di calore e sensazioni forti, di quelle in
grado di scaldare l’anima ed il cuore. “Time of the last
persecution”, apparsa in un 7” uscito in occasione del tour
canadese, e “I caught a glimpse of your eyes” si susseguono
delicatamente, prima di tornare su “Soft Black Stars” con
“Larkspur and Lazarus”. Ma è a questo punto che ci tocca
rituffarci a sorpresa indietro di vent’anni: “Maldoror is
Dead” è una delle poche concessioni al passato del gruppo,
e il pubblico apprezza con grande entusiasmo. Grande emozione
anche per “Black Flowers”, risalente all’epoca di “Swastikas
for Noddy”, così come per quella “Niemandwasser” tratta
dal commovente album che Tibet dedicò al padre appena scomparso,
“Sleep has his house”.
Ma
le sorprese del passato ormai lontano non sono finite qui:
gloria anche per il controverso “Imperium” targato niente
meno che 1987, con “(Be locust or) alone”, mentre la chiusura
della favolosa serata verrà affidata a “The blue gates of
death”, da “Earth covers earth”.
Il buon David, che termina lo show eccitato ed a torso nudo,
trova anche lo spazio per un ulteriore tributo allo stimato
Finn, eseguendo una cover del simpatico e timido folksinger
dal titolo “In the courtyard”. Quest’ora e mezza in compagnia
dei Current vola in un soffio, e l’applauso finale del pubblico
è di quelli che sembrano non terminare mai; le luci del
teatro si riaccendono, e a noi rimane solo il rammarico
di non avere prenotato a suo tempo anche un ticket per lo
show del giorno dopo.
Pochi
giorni dopo lo show ho letto sul sito della Durtro di David
Tibet un caloroso ringraziamento del gruppo a pubblico e
organizzatori della data torinese: “Thank you so much to
everyone involved in, and all of those who came to, these
two shows with which we were absolutely delighted… We loved
Turin absolutely and all want to live there forever. Thank
you from Tibet, Joolie Wood, Simon Finn, Maja Elliott and
John Contreras”. Fa veramente piacere, un gran punto a favore
di una città, Torino, spesso in passato fuori dalle scene
e ora finalmente protagonista di primo piano.
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