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THE CURE @
ISOLA DI WIGHT (Gran Bretagna) – 10 settembre 2011

Testo e foto di Gianmario Mattacheo

Quando ci si imbarca per un’avventura come questa, si capisce una volta di più come un fan farebbe praticamente qualsiasi cosa pur di assistere ad uno spettacolo del proprio gruppo favorito. Se da mesi, poi, Robert Smith confessa che il concerto all’Isola di Wight è l’unico dell’anno, ci sentiamo di rispondere sì all’appello. In realtà, nei mesi scorsi i Cure hanno aggiunto altre due date australiane denominate “Reflections”; un’idea per riascoltare i primi tre album del gruppo.
La particolarità ulteriore risiedeva nella line up che, per l’occasione, prevedeva il ritorno di Lol Tolhurst e Roger O’Donnell. Proprio il tema della line up è uno di quelli che stimolano gli appassionati. I Cure targati 2011 hanno subito un ulteriore rimpasto nella formazione? A queste domande, le fonti ufficiali non hanno saputo (voluto) dare alcun tipo di risposta, lasciando spazio ai “rumors” più bizzarri in materia: chi sostiene che il gruppo suonerà ancora in quattro, chi invece giura che Porl Thompson non sarà più della partita e chi, infine, è pronto a scommettere che vedremo ancora le tastiere di O’Donnell. Non resta che affrontare un lungo viaggio fatto di spostamenti, attese ed aspettative, prima di arrivare allo zenit, prima di darci le ultime risposte.
Gli ultimi due anni sono stati affrontati dai Cure in relativa tranquillità. L’unico elemento di parziale attività sta proprio in Robert Smith che, solo nell’ultimo periodo, ha realizzato una serie di collaborazioni con svariati gruppi di giovani di belle speranze, imprestando le preziose corde vocali in brani apprezzati da critica e pubblico. Forse, tra queste collaborazioni la più convincente è quella “Not in love” in cui il leader dei Cure canta con i Crystal Castles (anche loro impegnati al Festival), per un brano dal ritmo trascinante. Sembra, in effetti, che l’edizione del Festival sull’Isola di Wight 2011 (Bestival, così si chiama) abbia portato tutta quella serie di gruppi nati o cresciuti sotto la magica influenza di Robert Smith. Abbiamo già citato i Crystal Castles, ma non possiamo non citare anche i Cranes (che accompagnarono i Cure nel world tour del 1992), o i 65 Days of Static (che fecero la medesima cosa durante il più recente tour del 2008) e i Japanese Popstars (“Take forever” è il loro brano in cui compare Mr Smith), fino ad arrivare ai Mogwai, impegnati ieri. E non mancano di conseguenza gli omaggi che queste band offrono ai Cure; dai Mogwai che, sul finire dello spettacolo, ringraziano pubblicamente Robert Smith, senza dimenticare Alice Glass, cantante iper grintosa dei Crystal Castles, che canta per tutto il concerto con una Tshirt dei Cure. Per il resto, possiamo solo aggiungere che, trattandosi di un Festival, c’è proprio di tutto.

Ad un Festival come questo si presentano i fan di alcuni gruppi ed una moltitudine (in effetti i più) di persone che vengono solo per curiosità, magari per assaporare un po’ di quegli storici contesti che fecero dell’Isola di Wight la Woodstock europea. Eh già, perché l’Isola di Wight è un luogo fisico che, proprio come Woodstock, non potrà mai essere concepito separatamente rispetto al discorso musicale. Nel canale della Manica, porzione meridionale dell’Inghilterra, l’Isola di Wight in realtà è luogo di incantevole bellezza che offre soluzioni alternative per una vacanza da ricordare (non mancano certo le strutture che facilitano una godibilità delle attrazioni turistiche), ma è innegabile l’accostamento di cui sopra: Isola di Wight = musica. E questo fin da quando, verso la fine degli anni sessanta, si creò un festival rock destinato a rimanere nella memoria e nella leggenda (edizione del 1970 su tutte). Da Bob Dylan ai Jefferson Airplane, dai Jethro Tull agli Who, da Leonard Cohen ai Doors, per citare solo qualche nome; insomma, una bella fetta della storia della musica. Ma questa è storia, appunto. Il presente è questo Bestival 2011 che vede quali headliner di oggi i Cure di Robert Smith. Certo avremmo preferito un luogo “più comodo” e agevole da raggiungere, ma, non potendo che accettare supinamente scelte altrui ……. portiamo un po’ di “nero” tra i mille colori che il variegato pubblico del Bestival propone. E di colori se ne vedono proprio tanti al Bestival. Guardano le persone che hanno deciso di passare uno dei più grossi (e meno economici!) Festival europei, ci chiediamo se il fattore musicale abbia la preponderanza sul resto. Sembra che la maggior parte dei festaioli concepisca il raduno come una colossale mascherata in cui vince chi si presenta con il costume più kitsch. Persone con enormi parrucche colorate, uomini ghepardo, ragazze vestite da astronauta, nativi americani o dottori pazzi sono solo alcune delle facce in cui è facile imbattersi al Bestival, in ogni momento e, soprattutto, senza tregua alcuna (regna, invero, una clima di autentica allegria).
Tornando un po’ di più nel vivo, il programma musicale del Main Stage prevede, tra gli altri, Village People (proprio loro), Paloma Faith, Grandmaster Flash, Crystal Castles (davvero bravi) e P.J. Harvey; fino alle 21.30, quando scatta l’ora degli headliner.

La prima domanda circa la formazione del 2011 è subito risolta dalla presenza delle tastiere sul palco. Questo elemento sancisce il ritorno di Roger O’Donnell, pronto a ridare uno strumento che mancava nei live set dei Cure dal 2004 (vedremo, per contro, quanto mancherà la presenza di Porl Thompson sul palco). L’inizio è per un superclassico della ditta. Con “Plainsong” arriva quel momento speciale che, attraverso la sua dolcezza e la sua poesia, compensa anche la più dura e faticosa delle attese. Il ritorno delle tastiere, si diceva. E, fin dal’apertura, possiamo vedere un primo elemento positivo: Robert può reinterpretare la canzone secondo lo schema classico, presentandosi senza chitarra e sentendosi libero di compiere la “passerella” con la quale porge il suo tradizionale saluto (e prendendosi dal suo pubblico l’ovazione più alta). “Open” rimane “Open” anche con una chitarra in meno (superlavoro per il leader) e “Fascination street” obbliga già agli straordinari la band quando siamo solo al terzo pezzo. Da questo momento in avanti è spazio totale per i “singoloni” dei Cure. Smith non stravolge il suo modo di concepire i Festival: maggior spazio ai singoli/pop song, in luogo di uno spettacolo più teso ed oscuro. Si spazia dalle più recenti “The end of the world” e “The only one”, alle più datate “The walk” ed “Inbetween days”. “Just like heaven” risente molto dell’assenza della seconda chitarra, mentre “Primary” e “Shake dog shake” sono brillanti e rappresentano alcuni dei momenti più intensi di questa sera. I due momenti più rock della serata arrivano con “Push” e “The hungry ghost”. Ma, se la prima rimane convincente e trascinante, rappresentando un momento di partecipazione collettiva, la seconda ritrae i Cure nel frammento meno convincente di oggi.
L’assenza della seconda chitarra ne diminuisce fortemente il senso originario e ci convince, una volta di più, di come sarebbe stato più azzeccato un altro ripescaggio dal recente “4.13 dream”. Alcune brevi note in merito ad inni ineliminabili: con “A forest” si ripresenta l’intro con tastiere che rende più avvolgente il suono; “One hundred years” è la piacevole “mazzata” che i Cure non possono non suonare; “End” ha un piglio un po’ meno intenso senza Thompson e “Disintegration” suona convincente quale conclusione del main set.
Festa totale per il primo dei rientri. Spazio a gemme pop quali “Lullaby”, The lovecats”, “Why can’t I be you”, “Close to me”, anche se il massimo del divertimento arriva con “Let’s go to bed” (con un Robert che scorda le parole del testo!) e, soprattutto, “The caterpillar” un ripescaggio assolutamente inaspettato per il celebre singolo targato 1984. L’ultimo dei rientri è quello più punk rock e minimale (del tutto inesistente il contributo di O’Donnell). “Boys don’t cry” è conosciuta da tutti qui al Bestival; “Jumping someone else’s train (Simon Gallup cade a conclusione del brano!), “Grinding halt” e “10.15 Saturday night” portano immediatezza al sound di stasera. Con “Killing an arab”, ancora scelta quale epilogo, riascoltiamo un brano geniale, immortale e costantemente vivo, ottima conclusione dello spettacolo. Un concerto che ha, se non altro, impegnato i Cure in una certa rilettura degli equilibri sonori (ricordiamo che era la prima volta in assoluto che si presentavano con formazione a quattro ed una sola chitarra). La conclusione è quella imposta dal più classico dei copioni. Mentre Jason Cooper, Roger O’Donnell e Simon Gallup scendono dal palco, Robert Smith è ultimo ad abbandonare la nave (così si comporta un capitano); si avvicina ancora al microfono promettendo che ci si rivedrà presto.
Il pubblico risponde con un ultimo boato di ringraziamento, mentre osserva quell’uomo vestito di nero, unico nel regalare emozioni così forti. A noi non rimane che armarci di coraggio per affrontare la folla oceanica del Bestival e preparare il rientro a casa. Si tratta soltanto di evitare l’uomo tigre, il marziano, il licantropo, gli astronauti e gli indiani……….. ma ne è valsa la pena.