Per l’ultimo concerto
della sessione italiana, ci ritroviamo al Forum di
Assago, il più celebre palazzetto dello sport
milanese e luogo in cui i Cure si sono esibiti già
sei volte. Quando siamo quasi alla metà del
tour, l’energia è ancora alta e le prestazioni non
risentono minimamente degli sforzi che gli artisti
stanno ponendo in essere da quel sei ottobre,
giorno del battesimo di Riga, in Lettonia.
I Twilight sad sono
accolti con sempre entusiasmo dal pubblico dei
Cure e loro, per contro, non mancano di
ringraziare ed esaltare la band di Crawley a fine
esibizione, un po’ per giusta devozione e un po’
(tanto) per riconoscenza. Finito l’ultimo
“Enjoy the Cure”, pronunciato dal cantante James
Graham, i tecnici preparano il palco agli
headliner, mentre non mancano applausi al più
celebre dei roadie, quell’Eden Gallup, figlio di
cotanto bassista, e ormai quasi il “settimo” Cure
della formazione.
Con l’immancabile
tenuta xxl (nera ovviamente), Robert Smith e la
sua cura partono con l’intro di “Alone”, pronti
anche stasera ad una maratona di 27 canzoni.
Il magnetismo di Robert Smith è assodato, e lo è
da quando decise di essere lui il cantante e il
leader di quel gruppo a fine anni ‘70 (allora Easy
Cure), dopo l’insoddisfazione per i vari cantanti
in prova al microfono. Da quel momento ogni cosa
che riguardasse i Cure doveva necessariamente
passare da lui, condicio sine qua non per
licenziare qualsivoglia produzione con
quell’etichetta. E tale leadership la si può
vedere ancor più nettamente sul palco; è lui il
centro, il fulcro e il motore del meccanismo, un
congegno capace di funzionare solo se lui
funziona. Ebbene queste doti negli oltre
quarant’anni di carriera si sono, se possibile,
ancora accentuate, tanto che oggi siamo di fronte
al solito leader ma, ci viene da dire, ancora più
grande, perché carico di quel valore aggiunto che
solo la sicurezza e consapevolezza nei propri
mezzi riescono a dare. Uno dei momenti più alti
si ha, manco a dirlo, con l’accoppiata di
“Seventeen seconds”, quando, una dietro l’altra,
si apprezzano “Play for today” e “A forest”.
Rimanendo su quell’album che aprì la decade ’80,
in precedenza la band aveva saputo offrire una
magistrale interpretazione di “At night”, canzone
accompagnata dallo stesso sfondo notturno già
utilizzato per “Alone”. Oggi i fan italiani
hanno anche avuto il regalo di una nuova anteprima
(siamo a cinque inediti con questa) che Robert
Smith annuncia chiamarsi “A fragile thing”. Troppo
difficile esprimermi sul pezzo (spero di avere
maggior orecchio con le prossime esibizioni), ma
il primo impatto, tuttavia, non sembra essere così
mortifero come le altre “nuove”, cominciando da
quella “Alone” con cui si aprono gli spettacoli o
alla sentitissima “And nothing is forever”;
insomma, non si boccia, ma si rimanda … a
novembre, in questo caso. Il primo rientro
rappresenta la vetta più alta della serata. Prima
il maxischermo proietta le immagini della Bolton
Abbey, mentre ci sentiamo di andare via “Con
nient’altro che la fede”, poi “Disintegration”
chiude impegnando come non mai l’ugola del nostro
… “How the end always is”.
Dopo gli encore
festaioli, “Boys don’t cry” ha l’onere di
raccogliere
tutte le
emozioni della serata, mentre il palazzetto
milanese si trasforma un gigantesco Karaoke.
La strada per Londra è ancora lunga, ma il
cammino non è mai stato così brillante.
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