Con la peggior
organizzazione nella storia degli eventi live, i
Cure hanno in programma il secondo concerto
italiano di questo “Shows of the lost world tour”.
Nel relativamente
contenuto palazzetto dello sport toscano, i
possessori del biglietto sono costretti a una coda
infinita che si snoda su tutto l’ampio parcheggio,
con la conseguenza che i Twilight sad suonano
praticamente davanti a poche decine di persone, in
quanto un unico ingresso è previsto per l’entrata
di tutti i settori.
Quando finalmente si
entra nel Mandela Forum, manca poco alla
performance degli headliner. Un suggestivo cielo
stellato, proiettato sul maxischermo, anticipa le
note di “Alone”, un accompagnamento assolutamente
in sintonia con le struggenti liriche scritte da
Robert Smith.
Con “Pictures of you”
continua quel siparietto tra Smith e Gallup,
vecchio di 33 anni, ma capace di emozionare
esattamente come allora; i due si avvicinano,
restando praticamente appiccicati e mentre si
guardano negli occhi con complicità, noi non
possiamo che fermare il tempo e goderci la scena:
click.
I due titoli che oggi
mi piace citare sono l’accoppiata “Charlotte
sometimes” e “Hanging garden”, presentate una di
seguito all’altra. Nella prima le tastiere di
O’Donnell sono il motore del pezzo, e nella
seconda i tamburi di Cooper seguono come un’ombra
la voce del leader.
“Endsong” per tutto il
tour è la scelta con la quale il gruppo decide di
concludere il mainset. È un brano che cattura
sempre più, con un avvio caratterizzato dal
dialogo tra le note acute della chitarra di Smith,
i volteggi di O’Donnell e i colpi sulle pelli di
Cooper. Quando entra anche la voce, il sound tende
ad inasprirsi con feedback su un tappeto di
tastiere; momento ideale per mettere il primo
punto alla serata.
Esattamente come per il
concerto bolognese, il rientro on stage vede la
nuova “I can never say goodbye”, “Faith” e “A
forest”. Ma se “Faith” è vissuta quasi come un
momento tantrico, in cui il popolo dei Cure rimane
praticamente in trance, con “A forest” ci si
desta, si balla, si battono le mani … ancora,
ancora e ancora.
E, mentre gli encore
finali non spostano di una virgola la tradizionale
festa, si chiude un concerto per il quale occorre
ridisegnare i confini della parola perfezione. |