Web-zine di musica, cultura, arte e tutto l'universo oscuro

 

Label

Cerca tra le nostre pagine
facebook
The Cure
Casalecchio Di Reno (BO), UnipolArena
31.10.2022

Report 1
Testo e foto
di Gianmario Mattacheo
The Cure
Casalecchio Di Reno  (BO), UnipolArena
31.10.2022

Report 2
 t
esto di Luca Sponzilli

foto di Barbara Lodi

Con la tappa bolognese i Cure iniziano il mini tour italiano, proseguendo quei concerti che, partiti dalla Scandinavia, stanno portando entusiasmo tra vecchi e nuovi seguaci del gruppo.
Come sappiamo la band si presenta sul palco con un esercito composto da ben sei elementi e viene quasi da sorridere pensando alle mille trasformazioni avute solo negli ultimi anni. Da quintetto con 1-2 tastiere, siamo prima passati ad un trio, per poi tornare a quartetto e una sola chitarra, passando per un quintetto e due chitarre, fino al tour 2022, ovvero alla storia recente.
Nel mentre, per non farci mancare niente, qualche mese fa ci fu l’abbandono di Simon Gallup, un addio durato appena qualche giorno; insomma, non esattamente il massimo dell’equilibrio per una band che sta per dare alla luce il suo quattordicesimo album in studio. Un album le cui premesse sono davvero esaltanti se solo pensiamo alle canzoni proposte in anteprima.
“This is the end …” sono le prime parole estratte dall’apripista “Alone”, accompagnate da un boato del grande palazzetto dello sport alle porte del capoluogo emiliano.
Un focus sui protagonisti. Robert Smith, con passo sornione si aggira per il palco, mostrando una sicurezza rodata in più di quarant’anni di carriera, spinto da una voce impermeabile al passaggio del tempo. Simon Gallup, che non concede (mai) un sorriso, vive lo spettacolo in maniera molto fisica; Cooper è un martello che non perde un colpo; Gabrels l’oggetto misterioso (mi sembra tale nonostante i dieci anni di militanza); Roger O’Donnell, più gioviale rispetto ad inizio tour e Bamonte che sembra vivere il ritorno in seno al gruppo molto in sordina, quasi fosse “quello in più”.
Oggi la Palma d’oro tra le canzoni offerte nel mainset se l’aggiudica “Cold”. Se quell’inno desolante, vecchio di quarant’anni, a Stoccolma mi era parso un po’ sottotono, qui si riprende tutta la sua rivincita per cinque minuti di una dolce e irresistibile angoscia.
Il primo rientro è quello capace di alzare ancora di più il livello della serata. La nuova “I can never say goodbye”, interpretata con grande pathos, anticipa “Faith e “A forest” e che queste due canzoni siano cementate nel cuore dei sostenitori lo testimonia il trasposto collettivo, palese sul volto di tutti.
Ma voglio chiudere facendo un passo indietro, quasi all’inizio del concerto, ovvero da quella “And nothing is forever”. Il nuovo brano, dolce fin da quei tocchi sui tasti con cui si apre il pezzo, ridefinisce e aggiorna non solo il sound ma anche la poesia. “E lo so, lo so, il mio mondo è invecchiato, ma davvero non importa se dici che staremo insieme, se prometti che alla fine sarai con me. Promettimi che alla fine sarai con me”.
Perché in un concerto ci sono tante di quelle cose che mi risulta difficile contenerle, riassumerle e trattenerle in una recensione. Alcune di esse le perdi, ti scivolano dalle dita, mentre cerchi di catturarle e imprigionarle nella tastiera di un pc. Adesso, per esempio, trattengo le lacrime. Quelle buone.
A sei anni esatti di distanza dall’ultimo Tour Italiano, i Cure tornano a calcare i nostri palchi partendo nuovamente da Bologna, nella prima delle quattro date designate.
Quel che in primis vorrei sottolineare è la mia opinione riguardo alla Band di Robert Smith e nello specifico, aldilà dell’importanza che il gruppo ha avuto nello scrivere intere pagine della Storia del Rock, di non aver mai deluso le aspettative e puntualmente, nella serata in questione, non vengo smentito.
 I Cure sono “fottutamente” in forma, il tempo per loro sembra essersi fermato alle meravigliose Gig’ degli indimenticati ed indimenticabili Eighties e poi quest’anno c’è da festeggiare due importanti Anniversari discografici per gli album “Pornography” e “Wish” che spengono rispettivamente 40 e 30 Candeline (Smith dopo aver eseguito “The Hanging Garden” ha volutamente ricordato il Compleanno di una delle Pietre Miliari della corrente Dark-Wave).
Si comincia con il nuovo singolo “Alone” per proseguire con “Pictures Of You”, “A Night Like This”, “Lovesong” ma è la parte centrale del primo set, tra imponenti ritmiche/interpretazioni ispirate/armoniose sferzate chitarristiche ed il fluire delle tastiere, a regalare i momenti più suggestivi e passionalmente viscerali con “At Night”, “A Strange Day”, “Play For Today”, “Primary”e la dovuta “Burn”, classico tema per Halloween. Però quello che accade nell’Encore 1, dopo il primo congedo dei Six Imaginary Boys, raggiunge livelli di celebrazione che raramente ho percepito in quasi quarant’anni di concerti; “I Can Never Say Goodbye” elabora nelle emozionanti liriche gli eventi luttuosi del frontman ma l’aver eseguito “Faith”, brano Capolavoro dell’altrettanto disco Capolavoro del 1981, è memorabile, anzi, e lo scrivo con pretenziosità arrogante, MONUMENTALE. L’Encore 2 è un atto d’amore dovuto ai ventimila presenti all’UnipolArena che fin dalle prime ore del pomeriggio avevano occupato gli spazi disponibili e non; “Lullaby”, “The Walk”, “Friday I’m in Love”, “Close To Me”, “In Between Days”, “Just Like Heaven” e la conclusiva “Boys Don’t Cry” chiudono il ‘Concerto’ conservando intatte il carisma da “hits”ed un commosso Robert Smith ringrazia, stringendosi le braccia con le sue inconfondibili movenze, salutando con un “See You Again!!”. Un arrivederci che a questo punto sa di preludio alla pubblicazione del nuovo quanto atteso quattordicesimo lavoro in studio che dovrebbe intitolarsi, stando ai rumors, “Songs Of the Lost World”. E tornando a casa, avvolto nei bagliori della notte e delle luci della Bologna-Milano, continuavo a pensare e ripensare ai momenti legati alla loro musica, giorni gloriosi, e di quanto goduto fino a qualche attimo prima; un piacere personale così malinconicamente diviso tra gioia e sofferenza, quasi brumoso, ma del quale continuo ad esserne profondamente innamorato.

Chapeau