Per il secondo concerto
svizzero di questo tour 2022, i Cure raggiungono
Basilea, mentre i numeri alla mano ci dicono che
abbiamo passato la metà di quel lungo cammino atto
a portarci alla Wembley Arena di Londra, luogo in
cui le fatiche saranno terminate.
L’organizzazione svizzera
è sempre impeccabile; quando vieni a vedere un
concerto qui, sai benissimo che nulla è fuori
posto e che funzionerà tutto alla perfezione
(comprese le Rikola omaggiate all’entrata).
I Twilight Sad sono ormai
una certezza, ricevendo durante quell’ora scarsa
di esibizione, sinceri applausi e gradimento. Il
frontman James Graham presentandosi con una
salopette blu sembra voglia lanciare un messaggio
a
gruppi infiocchettati e un po’ fighetti, magari
strizzando l’occhio a chi si fa il mazzo tutti i
giorni, ponendosi un po’ come una sorta di working
class hero. Una nota a margine della loro
esibizione ci conferma la grandezza di Robert
Smith. Il leader dei Cure, infatti, invece di
starsene comodamente in camerino, ascolta per
intero il set degli scozzesi, testimoniando la sua
insanabile fame di musica, unita ad una non comune
umiltà.
Alle 20,15 è Jason Cooper
a prendersi i primi applausi della band, mentre in
fila indiana tutti gli altri Cure, in religiosa
tenuta nera, sono pronti ad aprire le danze. Lo
sappiamo è “Alone” ad iniziare il concerto, brano
veramente degno per un’introduzione in grande
stile, così efficace da non far troppo rimpiangere
“Plainsong”, poi il maxischermo proietta la
copertina di “Pictures of you” con l’immagine di
Mary che sembra guardare il marito dall’alto,
durante l’esecuzione di uno dei pezzi migliori di
tutta la discografia.
Porta commozione autentica “And nothing is
forever”.
Da quando l’ascoltai a Stoccolma in anteprima
assoluta me ne sono innamorato, per la musica
certamente … ma quelle parole che sembrano scritte
per dire ciò che sentiamo nel profondo, beh, si
sono incollate a me e da lì non si vogliono più
staccare. “Push”, invece, è del set
principale la canzone che vuole un po’ spezzare il
clima intenso (diremmo quasi teso) caratterizzante
i concerti di quest’anno; con la partecipazione
corale e gli inevitabili sorrisi che arrivano dal
palco, diventa una tipica rock song da grande
arena. Mentre ascoltiamo “The hanging garden”,
oggi tra le più brillanti ed emotivamente
coinvolgenti, ci rendiamo conto, una volta di più,
di quanto il contributo di altri musicisti,
nell’ormai consueto rimpasto della formazione, sia
poco più che rilevante. La firma del brano è
sempre data da Robert Smith, sicuramente con la
voce, ma prima ancora che il cantato arrivi, è la
sua sei corde ad indicarci che siamo di fronte a
un pezzo dei Cure: possiamo avere una, due o tre
chitarre, ma sarà la sua a rendere autentico il
prodotto.
Il main set si chiude con
“From the edge of the deep green sea” e con la
nuova “Endsong”, in due brani in cui non si lesina
in chitarrismi di ogni genere. Ma se l’estratto di
“Wish” si apprezza per i notevoli cambi di ritmo e
quel rintocco di O’Donnell, tanto semplice quanto
fondamentale per la riuscita del pezzo, con
“Endsong” il capobanda ci fa immergere nella più
desolata rappresentazione del presente: “Rimasto
solo senza niente, alla fine di ogni canzone.
Rimasto solo senza niente, niente, niente”.
Il primo rientro ha una
potenza da stendere sul colpo un elefante; si
parte con “I can never say goodbye”, mentre lo
schermo riporta immagini di giostre che,
all’imbrunire di giornate autunnali, accompagnano
le dolenti parole dedicate al fratello scomparso.
Poi seguono “Faith”, “One hundred years” ed “A
forest”, con i quali i Cure fanno cappotto.
Oggi il rientro pop si
veste, ancor più, di festa, sorrisi e scherzi.
Dapprima Robert si posiziona
alle tastiere,
facendo finta di strimpellare qualcosa e lasciando
un tramortito O’Donnell al microfono; poi, essendo
oggi sabato,
dice che
presenterà una nuova canzone, dal titolo “Saturday
wait”, mentre, ovviamente, la sua chitarra parte
con l’intro di “Friday I’m in love”!. Non sono
pochi quelli che chiedono il perché si torna a
vedere più volte lo stesso concerto. Quando ti
trovi a perdere quasi tutti i filtri e commuoverti
durante l’esecuzione di alcuni brani e, poi,
dimenticarti di essere in un’arena ed osservarti,
qualche minuto dopo, intento a
ridere e
ballare come se fossi tranquillamente a casa,
allora capisci realmente come non ci possa essere
una risposta al quesito, Prendo in prestito le
parole di un mio amico, quando un giorno mi disse:
“When you go black, you never come back”. E noi,
in effetti, quel nero lo abbiamo scelto molto
tempo fa, non riuscendone più a fare a meno.
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