THE
CURE
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UNIPOL ARENA - CASALECCHIO DI RENO. 29 Ottobre 2016
Testo
e foto di Gianmario Mattacheo
Eh no, non c'ero. Non ero presente in quel 20 maggio 1984 quando
i Cure suonarono per la prima volta in Italia, ancora sconosciuta
in me quella che sarebbe divenuta la mia malattia musicale. Oggi
si torna in quel luogo che li accolse la prima volta (dai non fate
i pignoli ….. lo so che allora era il Teatro Tenda e non l'Unipol
Arena) per la prima tappa del tour italiano, inserito nel ben più
ampio tour mondiale che impegna gli inglesi dal maggio scorso. Dopo
aver percorso in lungo ed in largo la Scandinavia, aver toccato
la Germania e alcuni Stati dell'Est, si arriva nel Bel Paese per
la prima di quattro date.
Scottato dalla deludente performance dei The Twilight Sad, non nutro
molte aspettative circa la band di supporto; difficile pensare a
qualcosa di differente.
Sono le 19.00 quando gli scozzesi fanno l'ingresso sul palco. Devo
ammettere che la resa musicale è decisamente migliore rispetto a
Copenhagen, quando era assai difficile sentire i suoni prodotti
dagli strumenti. Diciamo che l'iper critica di allora si sta attenuando,
nonostante gli atteggiamenti del frontman continuino ad essere piuttosto
irritanti. Il fatto che ci troviamo in Italia, è evidente anche
dal rumore che accompagna ogni piccolo cambiamento all'interno dell'arena.
I roadie che preparano gli strumenti ai cinque Cure è già di per
sé un elemento tale da provocare un baccano certamente non indifferente.
Facile immaginare l'ovazione che arriva con l'inizio dello spettacolo.
In fila indiana la band di Robert Smith è pronta per le presentazioni.
Queste arrivano con la migliore proposta della ditta, quando "Plainsong"
apre le danze.
Per i circa trenta minuti che seguono Robert Smith si ricorda di
privilegiare solo due album del proprio repertorio, quando sei canzoni
provenienti da "Disintegration" e da "The head on the door" infiammano
gli spettatori. Nella prima parte dello spettacolo "The walk", Charlotte
sometimes" e "If only tonight we could sleep" sono le meglio rappresentate
e quando arriva "Disintegration" il pubblico capisce che il concerto
è giunto alla conclusione del main set.
Al primo rientro Robert Smith si avvicina al microfono ed invita
la platea a cantare un "Happy birthday" per Roger O'Donnell: il
tastierista si prende (assolutamente goduto) tutto il coro, gigioneggiando
con atteggiamenti da grande star. È durante questo encore che i
Cure suonano praticamente metà dell'album "Seventen seconds", ponendo
in essere la migliore e più convincente porzione del concerto. Se
avevamo ancora qualche dubbio in merito alla gioia di Robert Smith
di stare sul palco e del suo conseguente buonumore, questi sono
sciolti durante gli ultimi rientri: mentre accorda la chitarra acustica,
abbozza accordi "insoliti" (diciamo decisamente poco Cure) e poi
ridendo di gusto dichiara di stare eseguendo una Cowboy song"! L'ultima
porzione dello spettacolo è, come da copione, dedicata alle canzoni
più commercialmente conosciute.
Tra queste ci piace ricordare "The caterpillar" perché non proposta
con grande regolarità in questo tour; il sentirla (ancorché modificata
nella linea melodica) è un piacere e la conferma di una band unica
nel vivere in armonia tra il pop ed il dark decadente.