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the CURE

@ WEMBLEY ARENA. Londra 20 marzo 2008

testo GIANMARIO da Alessandria

foto by Silvia

Osservare un concerto della tua band preferita nella tua città preferita rappresenta un momento davvero magico e speciale che con difficoltà si riesce ad esprimere a parole. È quanto accade a chi scrive oggi quando i cure si apprestano ad affrontare l’ultima tappa europea del 4tour 2008. Inevitabile la scelta di Londra per questa conclusione; per la band è l’occasione di tornare nella propria città e ricaricarsi le batterie, prima di affrontare le rimanenti date in terra americana.
Un tempio davvero speciale e prestigioso quello in cui, anche oggi, i cure suoneranno i celebri hit, ma anche alcune canzoni tratte dal futuro nuovo album in studio, di imminente pubblicazione.
Raccogliendo quel minino di informazioni utili, scopriamo che la Wembley Arena fu costruita nel 1934 e che può ospitare fino 12.000 persone per i concerti e, sebbene non sia la più grande arena presente a Londra, rimane una scelta preferita per molti eventi rock, grazie alla migliore qualità del suono, ad un miglior impianto backstage e alla storia che la accompagna.
Per quest’ultima data, conclusiva del tour europeo, si anticipa l’orario di inizio spettacolo. Come compare sul biglietto, la band di supporto inizierà a scaldare la Wembley Arena a partire dalle 18.45, dopodiché toccherà ai cure (circa mezz’ora dopo l’esibizione del gruppo di Sheffield).
Il concerto odierno rappresenterà l’ultima volta in cui potremo osservare all’opera i 65 days of static (costante band di supporto per questo 4tour 2008); una band che ha saputo conquistarsi, concerto dopo concerto, uno spazio proprio ed un riconoscimento praticamente generale.
Ci chiediamo, infatti, se mai avremo ancora modo di incrociare il loro post rock ed il loro noise e se questo tour possa aiutarli ad emergere. In bocca al lupo.
Ma torniamo alla ragion d’essere di questo scritto. Alle 20.00, quando i tecnici ed i rodies ultimano la preparazione del palco, cresce l’attesa in questo blasonato tempio.
A luci spente parte il boato della folla, mentre l’inconfondibile intro di “Plainsong” riempie la Wembley Arena.
Jason Cooper è il primo dei Cure ad entrare sul palco; Porl Thompson e Simon Gallup lo seguono infiammando i fans; ma è l’ingresso di Robert Smith che, secondo copione, scatena l’inferno.
Alla dolcezza del primo brano si sostituisce la suggestione di “Prayers for rain” (proprio oggi che Londra si presenta particolarmente fredda e piovosa) e il triste addio di “A strange day”, a conferma che quella odierna sarà un’esibizione straordinaria.
La prima parte del mainset vede alternarsi brani che rappresentano i mille colori che i cure hanno saputo rendere propri nel corso della carriera. Troviamo il rock vincente e sempre apprezzato di “A night like this”, il pop per eccellenza del gruppo (“Lullaby”, Inbetween days”, “Just like heaven”) e quello di più facile ascolto (“Hot hot hot”, “Friday I’m in love” e la nuova “Please project”), passando per la malinconia (“To wish impossible things” e “A boy I never knew”).
Durante il rock di “From the edge of the deep green sea” è suggestivo vedere tutto il pubblico con le mani rivolte verso il cielo (“Put your hands in the sky”) e con “Push” Robert Smith appare realmente divertito.
In “Never enough” ed in “Wrong number”, Porl Thompson è libero di scatenarsi nei suoi virtuosismi. Anche in questa occasione, durante l’esecuzione di “Never enough” osserviamo il momento del bacio tra Porl Thompson e Simon Gallup: oggi i due concedono ai fans anche un abbraccio!
“One hundred years” aumenta ulteriormente la qualità dello spettacolo. Quando la batteria di Cooper parte con l’inconfondibile ritmica del brano, l’entusiasmo del pubblico sale alle stelle, per un pezzo che non teme confronti proprio con nessuno.
Il live cresce in qualità ed in intensità, mentre arriva il momento del rientro targato “Seventeen seconds”.
Un rientro che, necessariamente, propone solo canzoni tratte da quel formidabile disco del 1980. “At night” è una poesia ed “M” con il suo ritmo (ma anche con il testo “……… And ready for the next attack”) ci dice di prepararci per l’attacco finale.
La Wembley Arena non sbaglia nell’eseguire il coro di “Play for today”, mentre “A forest” è semplicemente “la leggenda” in musica degli inglesi.
Ci piace osservare Simon Gallup mentre tartassa il proprio basso (forse più del solito), durante la conclusione del pezzo: la sua grinta e la sua energia sono un punto di forza irrinunciabile. Il suo assolo è osservato interamente da Robert Smith che attende fino all’ultima nota suonata dal compagno prima di ringraziare il pubblico.
Anche per oggi si prevede un rientro pop. “Let’s go to bed” e “The lovecats” hanno i consensi più alti, mentre si apprezza una versione di “Why can’t I be you” quasi sincopata e aritmica. Durante questo encore pop, Robert Smith si concede maggiormente al pubblico, improvvisando passi di danza (alla Robert Smith, s’intende!) e manifestandoci tutto il suo buon umore. Il pubblico, in risposta, gli tributa un’autentica ovazione.
Per concludere lo spettacolo odierno manca l’ultimo grande rientro composto dalle canzoni tratte dal primissimo repertorio Cure, che si rivelerà la porzione meglio eseguita di tutto lo spettacolo.
“Three imaginary boys” (Robert Smith esegue alcuni riff di “Foxy lady” di Jimi Hendrix durante l’intro) è un brano eccezionale che riporta un piacevole magnetismo nell’Arena.
“Fire in Cairo”, “Boys don’t cry” (si scatena la bolgia sotto il palco), “Jumping someone else’s train” “Grinding halt” (che energia!!!), “10.15 Saturday night” (sanguigna) e “Killing an arab” sono canzoni eseguite in maniera tiratissima, una di seguito all’altra e senza alcuna pausa.
Durante l’esecuzione dell’ultimo pezzo, Robert Smith ed il pubblico gridano a squarciagola le parole del primo singolo cure. Sono urla di gioia e di liberazione allo stesso tempo; si sente il desiderio (da parte di tutti) di tirare fuori proprio tutte le restanti energie, senza risparmi e senza timori, nella consapevolezza di aver partecipato ad una festa collettiva.
Con le note di “Killing an arab”, suonata in questa affascinante Wembley Arena, si conclude (dopo oltre tre ore ed un quarto di spettacolo) la fatica europea della banda Smith. Questa ennesima maratona concertistica mette la parola fine al 4tour europeo e, contestualmente, conclude anche il nostro piccolo peregrinare fatto di viaggi ed attese, di concerti, di poco sonno, ma anche di molte fatiche. sforzi e sfacchinate che il popolo dei cure avrà voglia di affrontare fintantoché le emozioni saranno ancora così grandi da superare e surclassare i disagi vissuti. Pochi dubbi al riguardo.

Si consumano gli ultimi applausi. Un uomo esce salutando i suoi fans con la mano sul cuore. Quell’uomo allarga soddisfatto le braccia cercando di raggiungere ogni appassionato accorso per ascoltarlo. È tutto.

Poi ce ne andiamo. Grazie Robert. Thanks again.