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The CURE
1 aprile 2006 - Royal Albert Hall, Londra.

testo by Gianmario


Per il loro unico appuntamento della sessione estiva, i cure scelgono (ancora una volta) una location impareggiabile: la Royal Albert Hall di Londra.
Il concerto, organizzato dall’Associazione benefica Teenage Cancer Trust, e previsto per il primo di aprile (per fortuna non si è rivelato uno scherzo!!) ha, come di consueto, richiamato i fedelissimi della band, per quello che avrebbe rappresentato un altro concerto evento.
Erano, infatti, ancora freschissime le immagini delle ultime straordinarie esibizioni dell’estate scorsa (Taormina, in modo particolare) che il colmo contenitore delle emozioni del fan rivendicava spazio. Arriva, per il popolo dei darkettoni, il momento di invadere la Royal Albert Hall!!! Pochissimo da dire in merito alla arena. Un tempio tra i più importanti del mondo; l’enorme anfiteatro di mattoni rossi che, terminato nel 1871 e ornato con un fregio di piastrelle di Minton, lascia veramente poco da aggiungere rispetto a quanto trovereste su bilioni di guide londinesi. In una parola UNICO.
E questa unicità la si respira da subito. Da quando, insomma, ci si avvia al proprio posto e si osserva l’arena, la platea, le fantastiche logge e, più in alto, la circle fino ad arrivare ai posti in piedi; tutto è così imponente e perfetto che si parla perfino sottovoce (sembra quasi incredibile pensare che, da lì a poco, il teatro si sarebbe scaldato cantando le conosciutissime canzoni), e si trattiene il fiato per l’inizio dello show. Ad anticipare l’esibizione della band, si susseguono testimonianze di giovani persone che hanno vinto la battaglia contro il cancro e tra gli altri interviene, quale testimonial, Roger Daltrey dei Who che, nello stesso posto e per la medesima iniziativa, aveva suonato con il gruppo di Pete Townshend nel 2004.
Spetta a open rompere il ghiaccio: “I really don’t know what I’m doing here…..” che Robert Smith e pubblico cantano con liberazione mentre le chitarre elettriche del leader e di Porl Thompson danno il benvenuto ai presenti.
Con fascination street lo schermo posto dietro il palco proietta immagini lussureggianti, mentre con il ritmo ispanico di the blood, la band trasforma la Royal Albert Hall in una corrida.
Alt.end e The end of the world sono le prime canzoni dell’ultimo album proposte; con A night like this, invece, il suono avvolge completamente il teatro “say goodbye on a night like this” … anche se i saluti sono ancora lontani.
Con la doppietta del "Kiss me" album If only tonight we could sleep e The kiss, il gruppo tocca momenti altissimi. Nella prima per l’ineguagliabile atmosfera e la seconda per potenza sonora sprigionata. Con il tradizionale “ha ha ha” Robert Smith anticipa Shake dog shake, altra perla della serata, mentre la recente us or them viene reinterpretata dai nostri ed appare, almeno all’inizio, irriconoscibile. La rock song Never enough e Signal to noise hanno, invece, il compito di anticipare due brani senza tempo come the figurehead (qui Robert si prende la briga di cambiare il testo sostituendo chinese girls con english girls!!) e a strange day.
Cessata la devastazione d’animo derivante dai sopraccitati titoli, il gruppo passa a Push (partecipazione quasi generale del teatro) e From the edge of the deep green sea e fra esse, In beteween days e Just like heaven, concedendo al pubblico alcune delle più celebri gemme pop del repertorio.
Ancora un tuffo nel passato e nelle emozioni più profonde: The drowning man, M ed At night, una dietro l’altra, portano il fan quasi su altro pianeta, cullato dalla voce del padrone che non si prende una pausa e non sbaglia un colpo. Adesso si può, a ragione, affermare che il tempio è cambiato: siamo, di fatto, nella Robert Albert Hall!!! Baby scream precede il momento più alto di tutto il concerto. Con one hundred years esplode la batteria di Cooper; Simon Gallup schizza in aria con il suo basso; il leader e Porl Thompson infiammano le rispettive chitarre. Siamo al top e tutto il pubblico lo sente. Ormai praticamente nessuno riesce più a stare seduto.
Shiver and shake riesce a non fare perdere l’entusiasmo ed essere interpretata con particolare calore, mentre con End la band proprio non può sbagliare in un pezzo ossessivo e potente col quale Robert Smith chiude la prima parte del concerto “stop loving me, I’m none of this things”.
Al primo rientro, Robert Smith sceglie il pop e concede gioia anche a quelle persone non fan, ma intervenute unicamente per il lodevolissimo scopo benefico della serata. Si susseguono Lullaby, Hot hot hot, Let’s go to bed, Friday I’m in love (l’immobile ragazza che avevo vicino, per la prima volta si agita e canticchia qualche strofa!!!!), Why can’t I be you, in una versione particolarmente dilatata.
Al secondo rientro la band sceglie il passato più remoto, dapprima con la travolgente Three imaginary boys e poi Fire in Cairo, Grinding halt, il rubinetto di 10.15 Saturday night (che dal 1979 continua a perdere) e, soprattutto Killing an arab. Quest’ultima, tra l’altro, non inserita in scaletta, ma scelta a concerto avviato.
L’ultimo rientro è dedicato ad altre due gemme: Boys don’t cry (la ragazza accanto a me ricanticchia qualche strofa!!) ed a forest, cavallo di battaglia per antonomasia della band inglese.
Dopo più di tre ore di concerto, siamo proprio alla fine. Robert ci saluta con la promessa che ci si vedrà più in là, nel corso dell’anno.
Noi, d’altro canto, stentiamo ad uscire, caracollando da una fila all’altra e cercando di rubare un’ultima occhiata a questo splendido teatro, unico nella sua bellezza e nella sua eleganza e, consci d’aver assistito ad una notte magica, abbandoniamo questo favoloso tempio.

Copyright Rosa Selvaggia