CRASH BOX + BOHÉMIEN
8 febbraio 2008, Garage Club, Sesto
San Giovanni (MI)
Testo
e foto di Fabio Degiorgi
Evento
veramente insolito ed attesissimo quello organizzato al
Garage di Sesto San Giovanni dall’organizzazione MI-Decay:
accanto ai Bohémien, che non hanno certo bisogno di presentazioni
su questo sito e che già suonarono per il festival Bats
Over Milan dello scorso anno, troviamo
una vera e propria leggenda della scena hard-core punk
milanese e italiana degli anni ’80, riformatasi di recente
a venti anni dallo scioglimento, e che torna sui palchi
proprio stasera dopo quattro lustri, escludendo una brevissima
performance lo scorso settembre in provincia di Novara.
Per
chi non lo sapesse infatti i
Crash Box pubblicarono diversi dischi fondamentali nel
loro genere fra il 1984 e il 1988 (il 7”
EP “…vivi!” e gli LP “Finale” e “Nel cuore”), ristampati
insieme ad altro materiale in un doppio CD uscito l’anno
scorso, il quale probabilmente ha fatto da breccia per
questa reunion che speriamo
possa avere lunga vita (e magari anche l’uscita di un
nuovo disco).
Cominciamo
dall’esibizione dei BOHÉMIEN, in pienissima forma anche
sul palco relativamente ridotto, ma più intimo, del Garage:
buona presenza scenica, innegabile bravura e precisione
di tutti e quattro i componenti, e
brani ottimamente costruiti me li confermano come uno
dei migliori gruppi di matrice post-punk o dark-wave
(o chiamatela come vi pare) che ci siano in Italia. Senza
nulla togliere a band più giovani, si sentono qui una classe ed una maturità
che vengono da lontano. Oltre ai loro brani tratti dall’album
“Danze Pagane”, dal mini CD “La parata del circo” e dal
demo “Sangue e arena”, propongono una cover di “Tziganata”
dei Litfiba (quelli di “Desaparecido”)
piuttosto fedele all’originale e davvero coinvolgente.
Il mio giudizio sul quartetto romano quindi è totalmente
positivo.
Quando
salgono sul palco i CRASH BOX
c’è un certo ricambio ed addensamento di pubblico, soprattutto
sulle prime file. La nuova formazione comprende, a fianco
dell’insostituibile Marco ‘Maniglia’ alla voce (unico
superstite dalle origini), Giulio Pastoretti
alla chitarra (che suonò sull’ultimo album “Nel cuore”),
Mauro ex Mudhead ed ex Sottopressione alla
batteria e Puccio al basso. Dopo che Maniglia ha mostrato
una maxi foto del suo
gatto diciottenne (a cui è dedicato
il concerto) parte la raffica di brani al fulmicotone,
e si inizia con l’inno “…vivi!”. Lo spirito del gruppo
è lo stesso di un tempo, idem per il pogo
con rotolamenti
e finti stage-diving (irrealizzabili
quelli veri per l’altezza esigua del palco), sembra di
tornare indietro davvero di 20 anni! Si prosegue poi con
altri grandiosi pezzi tratti da tutti e tre i dischi e
dal demo del 1983: “La trappola”,
“Bianco e nero”, “Sul filo del rasoio”, “Il mio inferno”,
“Chi sono”, “Cosa vuoi”, “Nel
cuore”, “Io sono la vittima”, “Finale”, “Nato per essere
veloce”, ed in mezzo a questi una versione di “Sangue”
con riffoni sabbathiani che la rendono quasi irriconoscibile. Maniglia
fra un brano e l’altro e litri di sudore che se ne vanno
scherza ripetutamente sulla veneranda
età sua e dei compagni (“abbiamo 200 anni in tre”), che
in realtà hanno solo da insegnare a tanti artefatti gruppi
pseudo-punk dei giorni nostri. Finita la scaletta, e non avendo
altri brani pronti – richiestissimi
dai fans e promessi comunque per la prossima
volta – viene riproposta come bis “…vivi!”, con un Maniglia
ormai afono attorniato da hard-core kids
impazziti di tre generazioni su e giù dal palco. È stato
tutto davvero troppo emozionante, non aggiungo altro se
non l’augurio che questo sia
solo l’inizio di una nuova fase.
Serata
riuscitissima quindi, anche per la buona
affluenza di gente, ma va detto che i presenti
accorsi appositamente per i Crash Box erano in evidente
maggioranza, a confermare la crescente ritrosia della
fauna nerovestita per i live. Se qualcuno poi si è stupito
o dovesse aver storto il naso per l’abbinamento di due
band così diverse, io l’ho trovata una scelta positiva
e coerente a suo modo: in fondo, quando Crash Box e Bohémien
muovevano i primi passi non c’era una separazione netta
fra le due scene e il pubblico era in parte lo stesso.
Dopo, con gli anni ’90, c’è stata una frattura di cui
non sto a parlare qui perché
ci vorrebbero molte pagine, ma ultimamente mi sembra di
vedere un qualche riavvicinamento, ed anche questo concerto
ne è un segno.
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