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Cineteca Meccanica

Intervista di Marco “Nik” Nicolini

Photos by Emanuela Zini, Monica Calanni Rindina

Eravamo nella prima metà del 2013, all’epoca dell’Inverno Infinito, quando le ore, i giorni, le settimane e i mesi si succedevano in tinta plumbea, atmosferica ed esistenziale, imperlati di rade, piccole pause occasionali, giusto per ricordarsi che avrebbe anche potuto non essere così…
Ci collocavamo in un’Europa che aveva da poco dato esequie a Maggie Thatcher, altrimenti detta “Lady di Ferro”, la quale, probabilmente, pensò bene di restare l’unica in Terra d’Albione ad essere forgiata in siffatto metallico materiale, liberandosi perciò dei lavoratori di miniere e fonderie britanniche: per brillare, è sempre meglio oscurare ogni tipo di potenziale concorrenza.
Così gli anni ‘80 vennero illuminati dalla cupa luce del conservatorismo liberista, che (un po’ come adesso?...) mirava ad appianare i picchi negativi della crisi economica spezzando le reni alle fasce più povere della società, tranquillamente sacrificabili purché le classi abbienti potessero prosperare.
Insomma, l’individuo abitante il vecchio continente si ritrovava, negli ’80 come negli ‘010, a farsi inoculare iniezioni di fiducia sia nei confronti della classe dirigente sia del prossimo in generale, come anche delle possibilità della propria realizzazione, del proprio futuro e del futuro di una società sempre più impastoiata fra pulsioni al suicidio/omicidio di massa e pulsioni consumistiche, queste ultime da viversi come fuga e rifugio assoluto dalle contraddizioni di un vivere che spesso ammala.
Quanta ispirazione regalata alle personalità sensibili, alla ricerca di nuove soluzioni, dotate del dono di saper leggere la realtà da punti di vista meno stereotipati di quelli di una massa cromaticamente identica al cielo grigio, al clima grigio, alla strada grigia, al panorama urbano grigio…nel frattempo, uno spiraglio di soddisfazione veniva dal fatto che, se Londra aveva inumato una si grande personalità del passato Roma, per non esser non da meno, salutava per l’ultima volta il Grande Gobbo…

La musica degli anni ’80 è segnata, fra le varie cose, da una commistione fra sperimentazione e pop. I richiami stilistici dei Cineteca Meccanica alle produzioni di quei periodi sono espliciti.
Fra i propositi iniziali del vostro progetto che spazio occupa questo rimando formale, estetico ma anche molto “di sostanza”?
Forse lo scopo è anche di veicolare la ricchezza della vostra espressione artistico-musicale in un formato accessibile, come se si trattasse di "pop per adulti"?

Da quel periodo siamo stati folgorati di più dall’attitudine PUNK, quindi sicuramente i Suicide sono stati grandi ispiratori, poi c’è certamente passione per la musica elettronica che nasceva in quel periodo e le melodie dei primi sinth sono rimaste fondamentali in ogni creazione.
L’idea del progetto in ogni caso è quella di poter creare qualcosa di piacevole e sincero con pochi soldi e senza avere una tecnica eccellente, basandoci su uno stile minimalista anche nel porci senza troppi orpelli nelle esibizioni live.
Non a caso il termine Punk venne usato la prima volta proprio in una locandina dei Suicide.

Il binomio musica e letteratura ha, fra i suoi più importanti frequentatori, Lou Reed, artista legato da sempre al mondo della letteratura e della poesia. Davide, esiste un parallelo fra la scrittura dei Cineteca Meccanica e quella di questo artista, anche nel rapporto con la propria città, caotica, disorganica, da amare anche quando mostra il volto suo peggiore, quello duro ed ammantato dal fascino ostile dei bassifondi?
Più che da Lou Reed solista, direi dal progetto” Velvet Uderground”, ma ricordo in particolar modo quando avevo 15-16 anni sentire Morrissey che parlando delle loro origini musicali come Smiths, si incazzava del fatto che nessuno potesse concepire delle canzoni orecchiabili e con una melodia piacevole abbinate a testi che avessero un minimo di senso compiuto e soprattutto che non ripetessero I Love you baby ad oltranza.
L’ispirazione è un po’ questa, molti brani sono nati direttamente dai testi. Pensando di cantare sotto la doccia una cosa impegnatissima.

Davide, nelle vostre strutture musicali si incontrano linee melodiche semplici e ritmiche dirette che si inseguono e si ripetono, modularmente, ostinatamente. Questo minimalismo pare lo si incontri anche nella scrittura, incardinata su parole semplici che producono istantaneamente emozioni, accompagnate da pochi accordi e da suggestive sonorità elettroniche. La direzione è quella di dare spazio all’espressività della performance, alla teatralità dell’atto del concerto, quasi fosse un reading multimediale del 3° millennio?
L’idea è quella di fissare pochi concetti chiari, che restino in mente e lì si fissino, soprattutto concetti e pensieri non banali, che possano comunque provocare emozione in chi li ascolta, qualsiasi tipo di emozione positiva o negativa, l’importante E NON ESSERE NEUTRI MAI.
Il legame tra musica e testi è come 2 facce della stessa medaglia, lo scopo è creare le sensazioni di cui parlavamo pocanzi a 360 gradi.

L’uso dei sintetizzatori è determinante nella vostra musica: Alessandro, se dovessi schematizzare la musica elettronica degli ultimi decenni, la tua ricerca sonora verrebbe maggiormente influenzata dai synth elettropop anni ’80 alla Depeche Mode, dalla sperimentazione seminale dei Kraftwerk degli anni ’70, dalle atmosfere più ambient di Brian Eno, dal Big Beat e dalla techno ani ’90 di Prodigy, Chemical Bros, etc, da un’insieme di queste suggestioni o da altro ancora?
Fra le tue macchine, c’è un synth particolarmente determinante per la tua musica, al quale non potresti rinunciare?

Devo dire che le mie influenze maggiori elettroniche sono state di quei gruppi che usavano anche chitarre, dapprima mi piacevano Doors e Pink Floyd prima dell’esplosione punk, che spazzò le batterie ritmiche di quei tempi e introdusse un onnipresente 4/4 che ti faceva muovere anche se la canzone era suonata da cani. Ultravox! di John Foxx e New Order sicuramente le mie maggiori influenze a cui si aggiungono gruppi EBM come Covenant e ora l’elettronica psichedelica dei Trust.
La mia tastiera dove provo i pezzi è una Casio degli anni 80 lunga poco più di un palmo con la novità di allora di avere 5 secondi (!) di campionamento, che spariscono ogni volta che la spegni perché è senza memoria interna o esterna…ma ha un suono di violino eccellente per buttare giù i pezzi e arrangiarli poi con i suoni del PC…

Musica e cinema. Già dal nome del gruppo è evidente il vostro riferimento al mondo delle immagini in movimento, alla settima arte. Il titolo “Gatto nero gatto bianco” cita il regista Kusturicka e la sua cinematografia drammaticamente grottesca. Nei live utilizzate spesso videoproiettori sul palco, e si nota nei testi la ricerca di uno stile di scrittura evocativo e “visuale”, la narrazione di situazioni ove si alternino luce ed ombra, la descrizione in parole di situazioni dal forte impatto visivo. Davide, quali sono i trait d’union fra il vostro lavoro e quello dei cineasti?
Riassumerei il tutto in un genere Neorealismo, parlerei di Neorealismo Musicale.

Brani come “Continuo ad urlare” “Paris” ed altre ancora, evocano ambientazioni che definirei “europeiste”: vi si compie un excursus fra situazioni rappresentative di varie nazioni, un tour dell’Europa che torna anche Milano, pur non concludendosi lì, per ripartire come in un loop. Davide, il tuo lavoro nei C.M. si può intendere come un viaggio, un’esplorazione volta a scrivere canzoni che oltrepassino geografie e frontiere assumendo significati che scavalchino le demarcazioni territoriali?
Questo album è nato come concept album in cui viene raccontata quasi come un film con la sua colonna sonora, le immagini, i desideri, le delusioni, le deviazioni e le dipendenze che abbiamo e che ci danno le grandi città europee, includendo solo New York come extra continentale, perché volevamo farne un ponte di fuga verso l’idea di terra promessa, verso quella che è la più europea delle città USA e pensando che per anni è stato il primo approdo degli emigranti europei.
In ogni caso volevamo riportare quello che secondo noi hanno rappresentato queste città nell’ultimo secolo e come le troviamo nel nuovo, purtroppo c’è molta omologazione tra tutte le metropoli per i peggiori difetti e il cosmopolitismo sembra un termine negativo.
L’attitudine nel fare comunità come quando ci si trovava sotto casa in compagnie formicaio o alla saletta occupata 20 ragazzi si lanciavano a suonare per condividere idee è inesistente di questi tempi.

Stimolata dalla grande rivoluzione musicale e culturale punk e post-punk inglese, la new wave italiana si è sviluppata con peculiarità differenziate, date anche dalla collocazione geografica delle varie scene musicali nostrane degli anni ’80. Davide, voi vi sentite più affini agli stilemi “fashion” di Firenze (Diaframma, Litfiba), quella di critica sociale ed attitudine nonsense di Bologna (Gaznevada, Confusional Quartet, CCCP), quella più raffinato-pop siciliana (Moda, De Novo ), oppure la scena più mainstream e “televisiva” di Milano (Garbo, Decibel, Jo Squillo, Camerini, Krisma)?
Direi senza ombra di dubbio che siamo senza mezzi termini in trincea sull’Appenino Tosco-Emiliano, per un solo fattore di nascita e di crescita musicale qualcosa può appartenere nelle sonorità sicuramente ai primi Decibel.

Oggi è possibile fare una sintesi della musica passata da utilizzare come punto di partenza per costruire qualcosa di nuovo? Davide, quali sarebbero gli ingredienti imprescindibili, da pescare negli archivi per ottenere la ricetta giusta e rappresentativa dello stato attuale dell’espressione musicale italiana?
Partiamo di fatto che creare qualcosa di nuovo e di originale è quasi impossibile ormai.
In ogni caso pensiamo che l’importante sia il messaggio e avere qualcosa da dire e dirlo forte con convinzione, personalità e in modo semplice e credibile. Poi se peschi da Celentano, dagli Skiantos o dal pop anni 80 poco importa, nessuno inventa nulla.
Ma è l’attitudine nel dare emozione che dovrebbero avere gli artisti, con un messaggio proprio chiaro e originale che manca.
La differenza tra un esordiente tipo Vasco Rossi a Sanremo e un ragazzino di X.factor è la credibilità del personaggio, mi sembra che si sia entrati in un format ben preciso ed assimilato ormai da anni. Vasco poteva piacere o non piacere ma quell’apparizione bucava il video…
Comunque un uso più coraggioso da parte dei nuovi musicisti dei personal computer per comporre musica porterà sicuramente a nuove idee e movimenti musicali innovativi sicuramente può essere il nuovo punk.

Grazie e buon ascolto a tutti con "Deviazioni" dei Cineteca Meccanica.