NICK
CAVE AND THE BAD SEEDS
@ Forum di Assago, 6 Novembre 2017
Testo di Gianmario Mattacheo
Foto di Adriana Bellato e Gianmario Mattacheo
Tre date in Italia per Nick Cave insieme ai suoi Bad
Seeds nel tour promozionale del recente "Skeleton tree".
Inutile girarci tanto intorno: alla vigilia, questo tour
nasce un po' più delicato rispetto agli altri. Sono i concerti
del "dopo". Quel dopo che, per il Re Inkiostro, significa
ripartire per andare oltre al più tremendo dei lutti.
Su disco il gruppo aveva dimostrato di reagire con il sopraccitato
"Skeleton tree", album che, a conti fatti, finiva per assomigliare
più ad una veglia funebre, rispetto ad un insieme di canzoni;
intendiamoci non malissimo il successore di "Push the sky
away", ma assolutamente la cosa più lontana a quei dischi
nati per essere sentiti in heavy rotation.
Ma i live sono un altro discorso, sono il modo in cui la
grandezza degli artisti si esprime nella loro dimensione
migliore e completa. Ecco, in definitiva, altre note di
interesse che si aggiungono alle normali aspettative, naturali
quando in cartellone ci sono i Bad Seeds. E Cave è uno di
quegli artisti che sa perfettamente come si costruisce lo
show. Lo sa così bene che per questo tour si è letteralmente
inventato qualcosa di sorprendente, pur di andare oltre
i consueti concerti, pur di regalare ancora di più al suo
pubblico e rendere l'esibizione una prova fisica tra lui
ed il resto della gente. Una passerella non più larga di
un metro viene attaccata alle transenne, tra la passerella
ed il palco (anche qui un metro circa) c'è solo il vuoto;
ebbene Nick Cave utilizzerà la sopraccitata passerella per
spalmarsi alle persone della prime file, salvo effettuare
dei continui balzi per ritornare dai suoi musicisti o mettersi
al pianoforte.
Il Forum di Assago è la seconda data nel Bel Paese, dopo
Padova e prima di Roma. L'ampio palazzetto lombardo, che
solitamente non delude quanto ad acustica, si presenta gremito,
a testimoniare il continuo interesse che l'artista australiano
si porta dietro ad ogni uscita. Alle 21.00 "Anthtocene",
uno dei brani meno convincenti di "Skeleton tree", apre
lo show. Sulle note del pianoforte di Warren Ellis (essenziali
quanto perentorie) gli altri musicisti si presentano alla
Bad Seeds in impeccabili ed eleganti vestiti neri, mentre
Cave inizia la sua danza sulla passerella e con la consueta
sicurezza inizia a snocciolare parole da predicatore redento,
fino alle ultime frasi dell'apripista di oggi "Chiudi gli
occhi, piccolo verme. E preparati". I piccoli vermi sono
preparati, in effetti, a sostenere l'australiano ogni volta
che si corica tra di loro e con "Jesus alone" si sale musicalmente
di tono in un altro brano in cui non è difficile immaginare
un dialogo tra il frontman ed il figlio scomparso ("Con
la mia voce ti sto chiamando, sediamoci vicini, finché arriva
il momento").
Quando Nick Cave si fa sostenere, per l'ennesima volta,
dalla folla e guardando negli occhi uno spettatore dice
"Voglio raccontarti di una ragazza", tutti sappiamo che
sta partendo quel portento di "From her to eternity". Il
pubblico impazzisce dietro le sue mosse (ora ha il ballo
di San Vito e non gli passa); è una cavalletta che salta
nel vuoto, si appoggia al pubblico e balza, un attimo dopo,
sul palco dove si trasforma in un puledro che scalcia come
se fosse all'interno di un rodeo. È uno dei momenti più
emotivi del concerto che solo la successiva "Tupelo" ha
il merito di non far scemare drasticamente. È evidente che
i brani di "Skeleton tree" rappresentino il piatto forte
della serata. "Girl in amber" e "I need you" sono tanto
sofferte che stiamo quasi attenti a non fare troppo rumore
per rompere l'incantesimo, mentre "Distant sky" (soprattutto)
e "Magneto" mantengono il livello più che accettabile.
Il concerto fila dritto con intensità, secondo un copione
creato e studiato perfettamente. Nick Cave a mostrare le
sue doti recitative, aiutate da un ego (non proprio piccolo,
dobbiamo riconoscerlo) ed i Bad Seeds che si confermano
una della band migliori del pianeta. Talmente bravi questi
Bad Seeds che si cambiano continuamente posizione, alternandosi
ai vari strumenti, secondo le necessità del caso.
A circa metà concerto c'è spazio anche per un altro siparietto
che ha dell'incredibile; Nick Cave chiede al pubblico quanto
siano belli i suoi calzini porpora e, scherzando, invita
qualcuno tra il pubblico a fare cambio. Beh, il calzino
arriva per davvero sul palco e Cave non si tira indietro:
via il suo calzino tra la folla e dentro quello dello spettatore
… come se fosse la cosa più naturale di questo mondo, indossare
l'indumento usato di uno sconosciuto!!! Ci piace ascoltare
"The ship song" una delle canzoni migliori di tutto il repertorio
caveiano, la recente "Jubilee street" ed il miele di "Into
my arms", ma è con "Red right hand" e con i campanacci che
ne anticipano l'introduzione che sale il boato più grande
della serata.
Questa "Comunione di massa" (così Cave ha definito il tour
che sta portando avanti) regala sul finale l'inno di "The
mercy seat" ed il suo crescendo forsennato, fino ad arrivare
al brano che titola l'ultimo in studio e, qui, sembra che
si possa vedere (o iniziare ad immaginare, almeno) il luogo
dove il dolore lascia il posto alla pace ("And it's al right
now, And it's al right now, And it's al right now"). Dopo
una breve pausa la band torna con "Weeping song", francamente
una delle esecuzioni meno riuscite di oggi e troppo lontana
dalla versione in studio, ma questo poco conta. Il ricordo
rimarrà indelebile perché Cave sceglie di superarsi andando
tra la gente, camminando come una sorta di Gesù tra i fedeli,
per poi posizionarsi su una piccola pedana al centro dell'arena,
facendosi toccare ed accarezzare, in un contesto che pare
strano, fantastico ed inverosimile allo stesso tempo.
Il tempo di tornare sulla passerella e con la migliore di
"Murder ballads", Cave racconta le storie macchiate di sangue
che hanno come protagonista Stagger Lee. Con la conclusiva
"Push the sky away" arriva un brano nuovo ma che ha già
le movenze di un classico. Qui Cave mette fine al copione
che aveva studiato, facendo salire almeno una cinquantina
di persone sul palco, incantate dalla dolcezza di un brano
scelto in maniera azzeccata come epilogo.
Un concerto decisamente sopra le righe. Intenso, forte,
esageratamente energico, sanguigno, ma anche dolce ed introspettivo.
Studiato a tavolino (non lo mettiamo in dubbio), ma dannazione
se fatto bene.