NICK CAVE AND THE BAD SEEDS
9 Luglio 2009 @ Traffic Torino Festival - Reggia di Venaria Reale
(Torino)
testo
e foto by Gianmario e Silvia
Inutile
illuderci. Nick Cave ed i suoi bad seeds non sono più gli stessi.
E
non lo sono soprattutto perché i due pilastri che da sempre
hanno accompagnato l’ombroso australiano hanno deciso di abbandonare
il progetto.
Mick Harvey
e Blixa Bargeld sono le dolorose perdite che i cattivi semi hanno
dovuto patire. Quando un gruppo di tali dimensioni perde il numero
due e tre per importanza in seno alla band (scegliete voi a chi attribuire
la piazza d’onore e a chi, invece, il terzo gradino del podio) non
può non subire delle flessioni notevoli. Flessioni che sono,
peraltro, ben visibili dalle ultime uscite discografiche targate Bad
Seeds; un lontanissimo ricordo dei bei momenti regalatici tra gli
anni ottanta e novanta.
Ma, fatta
questa funerea premessa, la domanda che invece dobbiamo porci è
se questo gruppo riesca ancora ad essere sé stesso anche dopo
i sopraccitati stravolgimenti.
Nick Cave,
infatti, potrà aver perso quella vena artistica che gli aveva
consentito di pubblicare album come “From her to eternity” (il primo
lavoro con i Bad Seeds), “Let love in” o “Murder ballds” (solo per
citare qualche titolo), ma è innegabile che l’australiano sia
un grande leader che si esalta durante le esibizioni dal vivo.
A noi oggi
spetterà di verificare se, attraverso gli hit passati, la band
riesca a ricostruirsi una verginità ed una credibilità,
mai come ora compromesse.
La location
è quella del parco di Venaria Reale, all’interno del “Torino
Traffic Festival”, ovvero la migliore manifestazione rock italiana,
capace (ogni anno) di regalare spettacoli davvero sorprendenti e caratterizzati
dalla totale gratuità.
La sede
di Venaria è una novità assoluta per il Traffic che,
fino alla passata edizione, si svolgeva presso il più centrale
Parco della Pellerina. La bellezza della location attuale appaga maggiormente
l’occhio, anche se, probabilmente, in passato si respirava ancor più
il clima del grande raduno musicale: era più libero e, sicuramente,
più rock.
Adesso l’imponenza
della Reggia Sabauda (gioiello piemontese, specie dopo la sua ristrutturazione)
e le Alpi sono una cornice insolita e assolutamente piacevole per
uno dei raduni musicali più attesi dagli amanti della musica.
Anticipati
sul palco da St. Vincent, una ragazza che si presenta come una rocker
a metà strada tra P.J. Harvey e Cat Power, i Bad Seeds fanno
l’ingresso in scena poco dopo le 22.00.
A detta
degli organizzatori, la folla che decide di gustarsi l’offerta del
Traffic Festival si aggirerebbe intorno alle 30.000 persone (forse
qualcosina in meno?), per una risposta che, indipendentemente dai
calcoli matematici, conferma la bontà del programma piemontese.
Anche quest’anno
il presentatore della manifestazione è lo storico DJ Mixo (attualmente
in forze a Radio Capital) che viene accolto da un saluto fragoroso
(alzi la mano chi non ha passato le serate insieme alla trasmissione
“Coloradio”, quando MTV non esisteva ancora e c’era la più
modesta Videomusic!).
Ma torniamo
sul palco. I Bad Seeds sono impeccabili nei loro soliti abiti eleganti
e Nick Cave appare subito in forma facendo alcune delle sue più
celebri pose plastiche.
La nota
di colore che possiamo subito vedere è che l’australiano non
porta più quei baffoni che dal primo album dei “Grinderman”
(ossia una riedizione dei Bad Seeds) caratterizzavano la sua immagine;
sembra ringiovanito e meno burbero, per un aspetto che ci riporta
al Cave delle copertine degli anni 80 e 90.
Un inizio
folgorante per “Papa won't leave you Henry” (il pezzo più trascinante
di “Henry's dream”): la band sembra partire quasi timida, salvo accendersi
insieme al ritmo del pezzo.
Nick Cave,
d’altro canto, ci mette davvero poco ad entrare nel giusto clima del
concerto. inizia a puntare, qua e la tra la folla, il suo dito accusatorio;
balla e si dimena come un tarantolato e tiene il palco con grande
personalità.
Alcuni problemi
tecnici ai microfoni rischiano di fare imbestialire il vocalist che,
spazientito, ne lancia uno dietro le quinte, facendo intendere la
sua scarsa disponibilità ed accettazione nei confronti dell’errore
altrui (un bel caratterino, non c’è che dire!).
Per i momenti
dedicati alle ultime prove in studio (“Dig!!! Lazarus Dig!!!” è
il più recente lavoro) Nick Cave sembra ugualmente ispirato,
anche se la qualità delle canzoni e l’impatto sul pubblico
sono notevolmente inferiori.
È
il caso di “Dig Lazarus Dig!!!” (che fu primo singolo), di “Midnight
man” (brani che, comunque, riescono ancora a salvarsi), ma è
con “There she goes my beautiful world” (tratto dal precedente “Abattoir
Blues”) che la vena creativa di Cave appare compromessa. Un sound
che non sa scegliere tra un rock (in questo caso non troppo incisivo)
ed un gospel (che, forse, rimane un po’ inappropriato).
Come si
diceva sopra, però, Cave ed i Bad Seeds ci “credono” ugualmente
e la loro classe riesce a non far perdere d’incisività lo spettacolo.
I Bad Seeds
di quest’anno vedono la presenza di Warren Ellis (violino, mandolino
elettrico e rumori vari) e dei più “anziani” Thomas Wydler
(quello che vanta la militanza più lunga nei cattivi semi),
Conway Savage (tastiere), Martin P Casey (basso), Ed Kuepper (chitarra)
e Jim Sclavunos (alla seconda batteria).
Warren Ellis
è stato, quasi certamente, la ragione prima della dipartita
di Blixa Bargeld e, successivamente, di Mick Harvey. L’eccentrico
violinista ha, da un lato, rivitalizzato Nick Cave (quantomeno come
energia on stage), ma, per contro, ha fatto un po’ il deserto su quelli
che erano i membri storici del gruppo; di fatto, è lui l’attuale
numero due del complesso (non a caso è stato l’unico citato
da Nick Cave durante lo spettacolo!).
Lo scampanellino
di “Red right hand”anticipa una delle canzoni più amate dal
pubblico dei Bad Seeds. Il brano tratto da “Let love in” viene eseguito
ottimamente, mentre “Deanna” (da “Tender prey”) riporta un suono più
immediato e quasi punk’n roll.
In alcuni
pezzi il leader dei cattivi semi decide di abbracciare una chitarra
elettrica e, seppur la sua tecnica si presenti assai approssimativa,
è importante constatare in questo dato l’intenzione dell’australiano
di virare il concerto su sonorità maggiormente rock; non compare
più il consueto pianoforte, sostituito da una più modesta
pianola, che suonerà sporadicamente (peraltro da in piedi).
“The ship
song” è uno dei momenti più belli del concerto e “utili”
per lo stesso Nick Cave che utilizza la dolcezza e l’armonia del brano
per riprendere fiato prima di altre scosse adrenaliniche.
È
curioso sentire tra il pubblico un urlo sguaiato di un fan che richiede
“Tupelo” e proprio come il disco “Live Seeds”, a conclusione di questa
irruente dedica, parte la più celebre canzone di “The firstborn
is dead”.
C’è spazio
ancora per una “Weeping song” (la canzone meno brillante di oggi che
non riesce ad essere incisiva senza il cantato di Blixa Bargeld e
che viene realizzata in maniera troppo rumorosa) e per una “Henry
Lee”, capace di creare atmosfera (si ricorda nel filmato originario
la presenza di P.J. Harvey).
Una doverosa
dedica, Nick Cave la riserva a Mick Harvey, quando dà vita
ad una canzone che dichiara non aver mai suonato in precedenza. Il
giusto tributo per un amico (ex?) che ha accompagnato Nick Cave fin
dagli esordi, quando il cantante australiano era prima eroinomane
che artista e quando Harvey era quella presenza capace di “salvare”
e mediare tra gli eccessi del leader.
“The mercy
seat” è il cavallo di battaglia del gruppo. Viene eseguita
quasi a memoria dai Bad Seeds anche se l’impatto sul pubblico è
stato probabilmente inferiore rispetto a quella “Papa won't leave
you Henry”, posta in apertura di concerto.
“Stagger
Lee” è il brano collocato a conclusione dal main set ed è
quello che più di altri ci rammenta l’assenza di Blixa Bargeld
(e del suo lacerante urlo) … e l’avvelenata sorpresa è rappresentata
dall’infernale e devastante interpretazione che Warren Ellis (definito
il suo nuovo “eroe” da Cave) propone per non far rimpiangere Blixa:
tra i migliori pezzi di tutto il repertorio caveiano, viene eseguita
allo strenuo della resistenza dei crini di cavallo dell’archetto di
Ellis, rompendosi con violenza, uno dopo l’altro…
Per i rientri
Cave e soci scelgono tutti brani che smorzano un po’ l’entusiasmo.
Una dedica alla Luna che, limpidissima, illumina il cielo torinese
e una “Love letter” chiudono definitivamente la serata.
In apertura
ci eravamo posti il dubbio se l’australiano fosse ancora credibile
on stage.
Lo è.