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NICK CAVE
21 febbraio 2004 AUDITORIUM di Milano

Doppia recensione

Visione 1: by Aimaproject (Lee) e Torre . http://www.lafoto.it/aimaproject.htm
Dopo il tour di "No More Shall We Part" tenutosi a Milano nel 2001 (durante il quale era evidente un Blixa vistosamente annoiato e poco partecipe ai brani), e dopo la breve comparsa a Roma per il concerto del 1° maggio 2003 (dal quale si congedò visibilmente scontento), non era difficile aspettarsi un ritorno di Nick Cave simile a questo, in una performance da solista. Certo non lo si aspettava all' Auditorium di largo Mahler, chiaro segno dell'evoluzione ormai palese in questo senso, dove l'esecuzione al piano ha la predominanza sui brani eseguiti in un discreto regime di parità nei confronti degli altri componenti; dove brani sempre più classici hanno la predominanza su quelli più datati ed agitati. Quanto alla formazione: Martyn Casey (basso), Jim Sclavunos (percussioni) e Warren Ellis (violino).
Il concerto è iniziato con un'attesissima quanto energica "Wonderful Life" (primo brano dell'ultimo album "Nocturama") per poi assumere toni più fievoli con brani quali "Hallelujah"; una cover di Johnny Cash (che nell'album "American III: Solitary Man" aveva dedicato al nostro una versione magistrale - e a quanto pare riadottata dallo stesso Cave, anche se con finale più delirante - di "The Mercy Seat"), un'altra cover di Tim Berkeley, la stessa "The Mercy Seat", precedentemente descritta, con un finale da far accapponare la pelle dove il violino non ha meno voce in capitolo dell'energica irruenza di Cave sul piano. Segue "God is in the House", che dopo il delirante finale di "The Mercy Seat" ci fa ricadere pesantemente a terra facendoci immediatamente scendere l'adrenalina. Oserei dire sacrilega da fiaccolata di accendini. Il concerto prosegue con "Into my Arms", che ben si sposa con l'ultimo repertorio. Memorabile il finale del concerto, dove ci vengono proposti tre brani dei Birthday Party, prima band (prima dei Bad Seeds) di Nick Cave. Intensissima l'esecuzione di "Wild World", durante la quale il pianoforte viene letteralmente violentato (all'Auditorium si saranno fatti il segno della croce per il pianoforte) e viene nervosamente accesa una sigaretta dietro l'altra (il gusto per la trasgressione sembra non essere stato smarrito da Cave, dopo che una voce metallica e pre-registrata, all'inizio del concerto, ci ha ricordato che nell'auditorium è vietato fumare!) Al solo pronunciar del nome "Birthday Party" la parte di pubblico che non ha cominciato ad interessarsi a lui solo da "No More Shall We Part" non ha resistito e si è violentemente alzata dai posti numerati (e salatamente pagati), cominciando un progressivo esodo verso il palco. Tanto calore forse non è stato particolarmente gradito dallo stesso Nick Cave che, forse per motivi di carattere tecnico (quale potrebbe essere la registrazione di un evento così singolare visto che conta solo due date a Milano e due a Lisbona), si è lasciato andare ad un "This test has been a disaster". Forse una frase così, quando i suoi concerti erano "disastri" perché erano già concepiti come tali da lui stesso, non sarebbe mai uscita e anzi, il calore del pubblico avrebbe fomentato ancora di più i suoi naturali slanci verso la performance. Il punto è sempre il medesimo: decadimento o evoluzione? Sostengo la tesi per così dire "evoluzionista", dal momento che per tutto il concerto ha mostrato di saper gestire tanto un brano blueseggiante quanto uno dei Birthday Party, e in questo rimarrà sempre un grande. Certo ultimamente non ha mostrato un grande sperimentalismo, e l'evoluzionismo, se così lo vogliamo chiamare, spesso è caduto nel cliché trito e ritrito. Con un certo compiacimento ammetto di aver notato tuttavia una certa maggior soddisfazione anche da parte sua nell'esecuzione di brani dove l'anima gli usciva evidentemente fuori in modo irruento, quasi come se quei vecchi brani, composti in singolari condizioni e lavori di ricostruzioni e di lutto, avessero conservato in lui tutta la loro potenza per fuoriuscire sfondando veli inibitori. Del resto io faccio parte della schiera dei vecchi fans, e sono più attratta dai moti impetuosi dell'animo piuttosto che da brani tipo "Hallelujah" o "God is in the House". Ma questo è un punto di vista soggettivo. Vorrei fare una nota ancora, senza nulla voler togliere agli altri componenti, circa il violinista (Warren Ellis). Grandioso è stato infatti il suo contributo: un violino a tratti quasi impazzito e, anche nei brani più sotto tono, capace di creare un'atmosfera davvero singolare. Nel complesso, forse un po' deludente la scaletta (per fans dell'ultimo Cave), ma sempre grandioso l'artista. Certo devo ammettere che a settimane di distanza, il suo compagno Blixa, con gli Einsturzende Neubauten (concerto del Tour Perpetuum Mobile Tour - già il nome è tutto un programma - tenutosi a Roma, Bologna e Milano per l'Italia), ha dimostrato più capacità di sperimentazione, pur essendo alle soglie del 2005.

Visione 2: by Brian K (darkfiles@concento.it)
C'era una volta la dark-wave, con il suo carico di spettri, depressioni e simbolismi di desolazione interiore. Una musica che tutti abbiamo amato ed amiamo, con il suo clima funereo, le sue atmosfere catacombali. Eccezioni folli (o, per dirla all'inglese, veri odd-balls) furono i Boys Next Door, poi Birthday Party, con il loro swamp-punk: un genere feroce e debosciato, fatto di accelerazioni sregolate, urla animalesche, tribalismo demenziale, turpiloquio incendiario. Allora Nick Cave cantava, o gridava in modo forsennato e tossico, tra gli squatter dei centri sociali punk, contorcendosi sul palco con la sua massa sparata di capelli corvini, e dietro di lui la chitarra abrasiva e contorta di Rowland S. Howard, il basso onnipotente di Tracy Pew ed i vari strumenti dell'amico di sempre Mick Harvey. Poi la dark-wave collassò su se stessa ed i Birthay Party la seguirono. Ma il nostro non terminò la sua ricerca, che anzi proseguì sull'inedita strada di un quasi-blues d'autore e molto sanguigno. Quindi ecco un Nick Cave epico e sbronzo nei più malfamati locali underground, brandire con violenza il microfono, minacciosamente accovacciato su una cassa-spia, stessi capelli corvini sparati, e dietro le distorsioni chitarristiche di Blixa Bargeld (dagli Einstuerzende Neubauten) e Kid Congo Powers (dai Gun Club), sempre affiancato dall'amico Mick Harvey. Questi erano i Bad Seeds, formazione che con qualche variante arriva al giorno d'oggi.
Ma la ricerca non ebbe termine ed il nostro virò col gruppo verso un sound sempre più acustico, melodico e depresso, con il suo delizioso cantato da crooner che, se fu annunciato su Murder Ballads (1996), e se venne portato a compimento in modo ancora incompleto e forse discutibile su The Boatman's Call (1998), fu nell'album No More shall We Part (2001) che assurse a capolavoro.
Fu poi il turno di Nocturama (2003), Lp salutato come capolavoro, il grande Nick Cave tornava alle sue antiche sonorità elettriche! Sì, peccato che si fosse dimenticato da qualche parte l'antico talento… Ed eccolo Nick Cave a Milano, in quella che forse avrebbe dovuto essere la tournèe di Nocturama, promessa solo per voce e piano. Un signore giovanile di mezz'età, ben vestito (camicia bianca sotto giacca nera, senza cravatta), i capelli corvini ora più radi, molto corti. La promessa non viene mantenuta: con lui entrano un batterista ed un bassista (Sclavunos e Casey), e con loro Warren Ellis, un genio del violino, già visto a Milano per la tournée di No More shall We Part. Come dire? Le premesse erano le peggiori possibili. Cioè: niente centro sociale o localaccio underground, ma il raffinato e borghese Auditorium di L.go Mahler; nessun esagitato pubblico punk o dark, ma una compassata e tranquilla audience di 35-40enni che hanno sborsato dalle 70 alle 100mila vecchie lire a testa!! E niente atteggiamenti inquietanti, ma un signore elegante con un piano a coda; nessun sonico Blixa Bargeld, ma un classico violinista; niente disco capolavoro da promuovere, ma il mediocre Nocturama. E nessun amico Mick Harvey (a proposito… perché?)! E le prime note confermano l'atroce sospetto: Nick Cave si è schifosamente imborghesito, ora è un dandy elegante che canta con bella voce sofferte e melodiche ballate. Una sorta di emulo di Bryan Ferry, insomma qualcosa di veramente aberrante. Chi come il sottoscritto stava per alzarsi disgustato, rimase folgorato da un insignificante gesto di Warren Ellis: l'innesto del distorsore sul violino. E fu la più deflagrante e benvenuta delle esplosioni soniche! Una luce abbagliante ha accecato il pubblico, la batteria percuoteva forsennata, il piano è esploso martellante, il violino gemeva e gridava distorto oltre la sopportabilità dell'orecchio umano. Poi Wonderful Life è tornata tranquilla alla sua conclusione, sotto l'applauso scrosciante di un pubblico tra il deliziato e l'attonito. Ecco la rivoluzione copernicana del genio Nick Cave!
Ed ecco cos'ha voluto dimostrare con questa tournée: credevate che i miei nuovi brani fossero acustici? Bene, ora che ve li propino in versione devastantemente elettrica e sonica (West Country Girl, Henry Lee). Credete che il mio vecchio repertorio sia rumorista e selvaggio? Allora cuccatevelo acustico e armonico (The Mercy Seat, un'incredibile Wildworld, uno dei capolavori dei Birthday Party!). Certo, non era la regola. Ben pochi brani sono stati eseguiti in modo fedele (Into my Arms, Darker with the Day), altri alternavano parti rumoristiche a parti acustiche (The Ship Song, la bellissima Sad Waters) creando un effetto di continua sorpresa nel gaudente ascoltatore. Ed il repertorio! Intelligentemente il buon Nick ha quasi totalmente trascurato Nocturama (solo la prima già citata e Rock of Gibraltar), per enfatizzare il capolavoro No More shall We Part (di cui ha eseguito ben cinque pezzi) ed il meglio di tutta la sua discografia, almeno da Kicking Against the Pricks (1986). Giusto due cover: una di Johnny Cash, The (Folk)Singer appunto da Kicking, e Dolphins dell'immortale Tim Buckley, così smisuratamente superiore al povero figlio Jeff! Scelta eccellente, per carità, solo non si capisce perché debba avere escluso i due primi album con i Bad Seeds, soprattutto dopo aver compreso un brano dei Birthday Party. Ma si sa, i suoi capolavori sono troppi per poter essere eseguiti tutti!
Un concerto magico, si diceva, e non solo per Nick in stato di grazia (comunicativo e scherzoso col pubblico, selvaggio e tragico nell'interpretazione), ma anche e soprattutto per Warren Ellis, il nuovo asso nella manica del nostro. Un musicista versatile e schizofrenico, un po' come è stato l'intero concerto. Un violinista classico eccellente, straziante e melodico al punto giusto, ma che all'occorrenza sapeva devastare il suo strumento, o anche il mandolino (?!), con le distorsioni più lancinanti previste dall'effettistica oggi a disposizione. Per non parlare delle tecniche con cui lo suonava: non solo il classico archetto, ma anche il "pizzicato" o la vera e propria pennata chitarristica. Insomma un chitarrista al violino, anzi ben più di un chitarrista, geniale e sregolato (celebre il suo dare le spalle al pubblico o l'alzare la gamba destra preso dall'estasi) come non se ne vedevano da tempo. Forse è comprensibile il pur triste abbandono dell'immenso Blixa Bargeld avvenuto qualche mese fa…

Milano, febbraio 2004. Dove e come si poteva assistere ad un concerto simile? Laddove respirare il dark più selvaggio degli anni ottanta insieme alle melodie blues più raffinate, laddove le scale più armoniche del pianoforte convivono con i feedback più sperimentali, feroci e assordanti. Questo ha proposto Nick Cave, artista dal mestiere consumatissimo e capace di far convivere gli opposti giustapponendoli in mille sfumature, in mille chiaroscuri. E lui mai una sbavatura: sguaiato e sinistro quando serviva o romantico e melodico alla bisogna, ma sempre così profondo ed intenso, vibrante ai limiti della sopportazione dell'anima. Uscendo stordito, l'imprevisto ma ovvio: banchetto del merchandising coi CD, tutti a prezzo pieno, solo Nocturama in "smile price". Eh, quando l'artista supera la propria opera…

 
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