Almeno per chi scrive
l’approccio ad un disco dei Beach House
non risulta facilissimo. E questo non perché mi
senta alieno a quel dream pop di casa a Baltimora,
ma perché dopo aver dato alle stampe quell’opera
eterea titolata “Depression Cherry”, pare che ogni
disco successivo sia destinato a scendere,
piuttosto che scoprire nuove sonorità o emozioni.
Un po’ quello che sul
versante post rock mi arriva dai Mogwai. Già,
perché quelle (rare?) volte in cui decido di
violentare i timpani con le loro schitarrate, la
manina finisce inevitabilmente per pescare “Come
on die young”, dimentico di tutta la produzione
pregressa, o futura degli scozzesi.
Ma torniamo nella città
di Michael Phelps e, cercando di vincere i
sopraccitati preconcetti, si prova un approccio
vergine a “Once twice melody”, con la
consapevolezza che di questo imponente lavoro,
comprensivo di ben 18 tracce, sarebbe impossibile
un’analisi canzone per canzone.
In quest’ottica, lo
sforzo dell’ascoltatore è quello di coglierne il
mood e la direzione, in perfetta linea con la
musica prodotta dal duo, ovvero la creazione di
scenari sospesi tra la terra ed il cielo.
Gira un po’ la testa
dopo tanto svolazzare. E, dopo una quasi
indigestione, rimangono impressioni. Una
presentazione del lavoro che dalla prima traccia
non lesina synth e drum machine, insieme alla voce
effettata di Victoria Legrand; echi che si fondono
perfettamente al suono; la poesia misto miele di
“Hurts to love”, con un organo a fare da padrone o
la sofferta (per non dire depressa) “ESP”.
Le insolite acustiche
in apertura di “Sunset”; la brusca interruzione di
“New romance”, quasi a svegliarsi dalla catarsi;
il canto più simile ad un sussurro in “Another go
around” e “Many nights”; la trance, puro stile
“Depression cherry” di “Illusion of forever” o la
partenza hawaiana di “The bells”.
Ancora l’alchimia quasi
perfetta tra dream e pop di “Superstar” o l’inizio
stile colonna sonora di “Pink funeral”; o “Over
and over”, quel pezzo che, dal secondo ascolto,
mira a catturarti più di altri, cercando di
raggiungere la chimera del “per sempre”.
Se l’ascoltatore è
arrivato vergine a questo disco dei Beach House,
non è da escludere che lo possa eleggere a loro
disco migliore; per tutti gli altri, rimane un
disco dei Beach House. Che non fa una piega.
Link:
https://beachhouse.bandcamp.com/
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