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BAUHAUS
13 Febbraio 2006, Alcatraz, Milano

foto by Nikita

Visione 1 by Nikita

È dal 1998 che aspettavo questo momento, dalla data di Milano del "Resurrection tour", il concerto più emozionante della mia vita. Per cui in questi otto anni ho aspettato solo che il miracolo si ripetesse. Saputo della loro seconda reunion per il festival americano di Coachella dell'aprile scorso, la speranza si faceva sempre più forte. Finché, dopo aver toccato gli USA con un tour, finalmente è stata la volta in questo inizio d'anno dell'Europa. Molti erano i miei timori di rovinare il ricordo del loro precedente live dell'Alcatraz, ma il mio amore per questo gruppo è stato troppo forte per non vedere la realtà (e che realtà). Ma veniamo al reportage della giornata. Già alle 15:30 una quarantina di darkettoni aspettano pazientemente davanti all'ingresso l'apertura, che non avverrà prima delle 19. Verso le 17:30 siamo anche noi fermi ad aspettare, siamo vicino all'entrata di servizio e quindi sentiamo gli echi del sound-check, così riconosciamo subito la cover di "Transmission" dei Joy Division: l'esecuzione ci sembra perfetta e ci dà già forti emozioni, nonché un’ansia trepidante per il concerto. Via via che il tempo passa si forma una lunga coda. Sulla strada sono presenti molti stands abusivi di t-shirt, in cui sfoggiano le immagini dei "nostri eroi".
Finalmente l'ora dell’ingresso è giunta! Entriamo nel bel locale milanese, e dopo aver dato un'occhiata al merchandise ufficiale, t-shirt, felpe e mutande (?), salutiamo i vari amici provenienti da tutta Italia. Avendo visto già in seconda fila il concerto del '98, la cui pressione davanti era talmente forte da avermi fatto "tirare fuori" dallo staff del locale per riuscire a respirare, questa volta opto per stare né troppo vicino né troppo lontano. Dop o molta attesa, il sogno inizia. Un lungo intro perlopiù effettistico, fa da trepidante accompagnamento per l'entrata dei quattro inglesi, anche se dopo un po’ il suono è alquanto fastidioso, infatti mi sono dovuto mettere le mani sulle orecchie per le forti vibrazioni. Ecco quindi Peter Murphy, Daniel Ash, David Jay e Kevin Haskins finalmente sul palco, che partono con "Burning from the inside"; come brano d'apertura non l'avrei scelto e resto un po’ allibito e in sospeso, in attesa di qualche emozione, ma dopo parte "In the flat field" e subito il pubblico inizia a pogare e l'esaltazione è al massimo, a me vengono addirittura i brividi. Seguono "God in an alcove", "In fear of fear", "Terror couple kill colonel", "Swing the heartache", e i brani cult come "She’s in parties" e "The passion of lovers", che mi sembra non eseguita molto bene, anche se finora i nostri hanno dimostrato una padronanza del palco degna di solamente pochi veri artisti. Seguono poi a ruota "Silent hedges", "Kick in the eye" ed "Hollow hills", quest’ultima molto teatrale e diversa dall'esecuzione del '98, infatti se in quel concerto erano presenti delle lampadine come scenografia, qui l’ambientazione è più scarna e teatrale, da brividi, molto bello anche il coinvolgimento di Peter e del pubblico, il cui coro di "So sad" è sconvolgente. Continua poi l'esecuzione dei brani del repertorio dei Bauhaus, stavolta quelli più sperimentali e difficili, fra cui "Rosegarden funeral of sores", in cui Murphy lancia petali di rosa, e "Stigmata martyr", che ha scatenato anche qui un pogo. I nostri, immobili, aspettano in silenzio per uno o due minuti in cui si è creata un'atmosfera magica con il pubblico in visibilio, alla quale il gruppo risponde con "Hair of the dog" e la mitica "Dark entries". Esaltazione al massimo. Termina così la prima parte, ed in attesa del bis, pian piano riesco ad arrivare in terza fila per gustarmi di più lo spettacolo.
In questo primo rientro è la volta di "All we ever wanted was everything", in cui Murphy è alla chitarra acustica, poi tocca a "Severance", be llissima, da brividi, in cui il singer dimostra che ha ancora una bella voce, e CHE VOCE (alla faccia di chi lo dava spacciato dopo il concerto solista dell'anno scorso a Bologna)! Questa cover dei Dead Can Dance è superiore a mio giudizio perfino al brano originale, sia per intensità che per emozioni, specialmente nella parte finale, quando si velocizza, e la stupenda voce di Peter e il ritmo di Haskins creano un bel connubio emotivo. Ma i brividi continuano con un'altra cover, "Transmission", che a metà brano diventa un medley con "St Vitus dance". L'esecuzione è perfetta, e il pubblico è in estasi, addirittura Peter imita i movimenti storici di Ian Curtis sul palco, un omaggio di un grande artista ad un altro grande interprete del dark.
Seconda uscita dal palco dei Bauhaus, e il pubblico richiede a gran voce ancora un bis, infatti non potevano dimenticare "Bela Lugosi`s dead", dove Murphy, con un mantello, il suo sguardo magnetico e i movimenti vampireschi, riesce a donare una magnifica interpretazione. Qui il concerto sembra terminato, infatti la maggior parte dei loro gigs si concludono con questo brano, quindi mi allontano dalle prime file. Ma a sorpresa, ecco una nuova uscita con i nostri cambiati di abito (Peter si presenta con una bella giacca gotica bordeaux, prima era con una camicia bianca molto new-romantic), che presentano altre due covers, "Telegram Sam" e "Ziggy Stardust". Adesso sembra chiudersi davvero il sogno. Il pubblico sempre in visibilio richiede ancora un altro bis a gran voce. E i nostri cosa fanno? Rientrano e ripropongono solo l'ultima strofa di "Ziggy Stardust": and Ziggy plays / guitar, lasciata in sospeso prima dell’uscita finale dal palco, rendendo l'omaggio al pubblico presente e a loro stessi, come solo i grandi sanno fare.
I Bauhaus hanno colpito ancora, solo una band su migliaia è grande, e loro hanno dimostrato che in ambito dark, sia nel 1998 che nel 2006, non ci potrà mai essere una band come loro.
Lunga vita ai Bauhaus, attendendo un loro ritorno, per provare ancora emozioni e per ritornare a
sognare. (Nikita)


Visione 2
by Brian K
Ragazzi, che esperienza! Certo che vedere i Bauhaus nel 2006 non è una cosa scontata e si sa di gente che s'è mossa dal profondo sud per un simile evento! Però, per quanto unico, uno non può non paragonarlo a quello dell'ottobre 1998, avvenuto poi esattamente nello stesso luogo, l'Alcatraz. In quell'occasione Peter Murphy, Daniel Ash e soci erano piaciuti fino all'entusiasmo, fino alle lacrime... in effetti non suonavano insieme dal lontano 1983 (quindici anni)! Per questo nessuno ha fatto caso alla mancanza di vere novità nel loro repertorio (eccezion fatta per la nuova cover: "Severance" dei Dead can Dance), perché era il loro repertorio che il pubblico oscuro voleva, sconcertato da carriere soliste o meno (mi riferisco ai calanti Love & Rockets) comunque generalmente deludenti.
Oggi no, oggi non sono passati 15 anni ma bensì poco più di 7. E il loro repertorio lo conosciamo bene, anche in versione “reunion”, così ben documentato dall'ottimo Gotham. Ed è anche un po' che si sente in giro di un nuovo album registrato dai mefistofelici quattro, una vera e propria rifondazione del mito Bauhaus. Presenteranno nuove canzoni, quindi? Ecco che viene in mente che all'Alcatraz ha suonato da relativamente poco un altro mito degli anni '80 (più esattamente della fine), i Jane's Addiction, forse non un concerto esaltante ma comun que una gran bella serata. Fu anche presentato il nuovo album, certo con un repertorio assolutamente non all'altezza di quello storico, ma almeno loro ci hanno provato, da buoni artisti hanno rischiato!
I Bauhaus invece no, sono andati sul sicuro, richiamando mente un'altra storica reunion, quella dei mitici Sex Pistols, che però, in un momento di assoluta e onestissima consapevolezza, fu da loro stessi denominata “the Filthy Lucre Live” (il live del lucro schifoso). Per carità, rispetto al '98 qualche piccola novità anche rischiosetta c'è stata, come per esempio la leggera modifica della selezione dei brani con l’aggiunta di qualcuno allora trascurato, fors'anche perché mediamente più difficile. Il primo, ad esempio, quel "Burning from Inside" che giustamente rappresenta l'omonimo, sottovalutatissimo album. Ne è risultato un concerto nell'insieme più oscuro e paranoico rispetto alla loro precedente performance.
Di contro, però, certe cose bisogna dirle chiare: Murphy e compagni non sono più giovanissimi e l'affanno comincia a farsi sentire. I loro brani più energici, come ad esempio "God in an Alcove", necessitano dell'adrenalina e della foga giovanile d'un tempo, e sinceramente fa un po' di tenerezza vedere questi signorotti di mezz'età affaticati e un po' a disagio nel riproporre composizioni di un quarto di secolo fa. E gli anni hanno notevolmente ridotto anche la teatralità dei loro movimenti, oggi quasi definitivamente scomparsa, rimanendo esclusivamente legata alle pose e ai costumi. Solo con "Rosegarden Funeral of Sores" Murphy e Ash hanno tentato un buffo balletto-girotondo, nel quale sembravano quasi i vecchi amici di un tempo. Peccato che il primo sia stempiatuccio e con panzetta (diciamo di fianco morbido), mentre Daniel Ash con i capelli lunghi, dritti e cadenti (non a cresta) e occhiali scuri “a mosca”, somigli decisamente troppo al ributtante Bono dei primi anni '90.
Altra cosa strana da segnalare è la competenza tecnica. Va bene che sono dei post-punk, ma Murphy sembrava sfiatato e talvolta persino stonato (per fortuna si trattava perlopiù di un effetto acustico: si sa che l'Alcatraz ha le sue pecche), mentre Ash spesso suonava in modo veramente troppo approssimativo: addirittura l'inizio di "Terror Couple Kill Colonel" l'ha completamente sbagliato! Niente da dire, tuttavia, sulla precisa e seria performance della sezione ritmica, i sempre riservati fratelli Haskins: David J non ha avuto alcun problema a reggere per tutta la sua lunghezza il tour-de-force di "Kick in the Eye". Ecco, quando alle orecchie dell'ascoltatore smaliziato (ragazzi scusate, ma io ho un'età più vicina alla loro che a quella della maggior parte di voi) il concerto sembrava decisamente un pacco con più contro che pro, insomma più un espediente per rimediar quattrini che una sincera espressione artistica, ecco le tenebrose note di "Hollow Hills", uno dei loro capolavori assoluti. Ed ecco la grandezza e l'estrema serietà dei Bauhaus: l'unico gruppo in grado di fare del gotico un'arte sublime, finalmente a loro agio, nei ritmi più rallentati. Ed ecco Peter Murphy finalmente in grado di dimostrare chi è, con tutta la vasta gamma di colori di una voce veramente unica, a rendere il brano un'esperienza indimenticabile. Poi una feroce e meravigliosa "Dark Entries" chiude il grosso del concerto e dà ai quattro la prima pausa. Certo, perché come riescono loro a rappresentare atmosfere oscure non c'è mai più riuscito nessuno. Fuori dall'affanno dei tempi più febbrili e sincopati, questi sono gli indiscussi signori di un genere che, in loro assenza, avrebbe irrimediabilmente perso in intensità, lirismo e, perché no, raffinatezza. E questo sembra essere confermato dai primi bis, in preda alle atmosfere più pacate. Tornano infatti i brividi dell'eterica "Severance", o lo straziante arpeggio del capolavoro autobiografico All "We ever Wanted Was Everything". Si torna a vagheggiare allora un vero ritorno per la band, la definitiva rifondazione dei Bauhaus e, vista la loro età (probabilmente enfatizzata da uno stile di vita sopra le righe, come spesso capita nel mondo del rock), ciò sembra poter avvenire solo all'insegna delle atmosfere più morbide e più introverse. Ci si chiede solo quando ciò si vorrà veramente che accada...
Poi delle note conosciutissime, ma certamente non loro. Di cosa si tratta? NO, non è possibile, "Transmission" dei Joy Division! Ecco allora il rischio (bè, fino a un certo punto...), ma soprattutto ecco il mito!! Ed uno pensa che sì, ne è valsa la pena aspettare quasi trent'anni per sentire uno degli idoli della propria giovinezza rendere omaggio ad un altro idolo, oltre che maestro! Poi tornano pagliacci e sornioni per un nuovo bis, l'unica e mitica "Bela Lugosi Is Dead". E francamente questo costume da Dracula lascia perplessi, anche perché sembra più autocompiaciuto che archetipico. Perché un altro loro merito è indiscusso: nonostante le tematiche dannate di certe composizioni, il loro non è mai stato un invito ad adorazioni demoniache varie o a comportamenti più o meno devianti (come per il guitto Marilyn Manson, ad esempio), bensì il mettere il dito in una piaga sociale e nell'inconscio collettivo di una società decadente e corrotta, la cui malattia intrinseca viene simboleggiata dagli “orrori” gotici della sua stessa cultura.
Seguono silenzio e tristezza. Poi ancora un bis, tanto piacevole quanto inaspettato... le loro due classiche cover glam: "Telegram Sam" e "Ziggy Stardust". Brani decisamente giovanili, quasi adolescienziali, come dire «guardate che non abbiamo dimenticato i nostri debiti e le nostre origini». E, pazzesco, ora sembrano più a loro agio che mai! Ma allora questa rifondazione bauhausiana su cosa troverà fondamento, sulle atmosfere lente o sui boogie dal glam-rock? Ziggy Stardust non la terminano, bensì la interrompono con un “arrivedorci” che li fa tanto somigliare a Stanlio e Ollio. Il concerto allora sembra veramente finito, la gente comincia a scemare... ma loro tornano sul palco per il finale «and Ziggy plaaays / guitaaar!», dileggiando (cioè pigghiando p'o culo) pubblico e storia del rock. E il sottoscritto, deliziato e confuso, uscì dall'Alcatraz con la testa persa nei miti e nei simboli di un mondo grottesco ma capace di magiche suggestioni, nelle impressioni e nei ricordi di una giovinezza spesa ad inseguire, immerso in cupezze adolescenziali, una lontana intuizione dell'anima... (Brian K)


Scaletta:
01 Burning from the Inside
02 In the Flat Field
03 God in an Alcove
04 In Fear of Fear
05 Terror Couple Kill Colonel
06 Swing the Heartache
07 She's in Parties
08 The Passion of Lovers
09 Silent Hedges
10 Kick in the Eye
11 Hollow Hills
12 Rosegarden Funeral of Sores
13 Stigmata Martyr
14 Hair of the Dog
15 Dark Entries

I bis:
16 All We ever Wanted Was Everything
17 Severance
18 Transmission/ St Vitus Dance


II bis:
19 Bela Lugosi's Dead

III bis:
20 Telegram Sam
21 Ziggy Stardust

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