CIAO
MARCO CORBELLI – ATRAX MORGUE
Marco.
Una persona – ma lui preferiva per se stesso la definizione
di “non-persona” – squisitissima. Gentile, riservatissimo
e taciturno da mettere in imbarazzo, con i suoi lunghi silenzi,
le sue lunghe pause. La sua fisicità quasi trasparente,
ossuta, le movenze lente, a scatti nervose. Bellezza inquieta.
Atrax
Morgue. Uno dei massimi esponenti italiani, mondiali, del
power-noise/industrial. E, risaputo, il mio musicista p-n
preferito. Con il suo suono minimale pesantissimo, le slabbrature
sintetiche, i testi patologici a sondare cadaveri sonori,
le immagini crude e gelide a farne da sfondo.
Tutto
ciò che avevo sempre cercato nella musica s’era fatto concreto
- paradossalmente - con AM.
Quelle realtà sotterranee, morbose, necrofiliache.
Quelle negazioni continue, incessanti, decise.
Quelle eco umane di cui resta solo un sibilo soffocato in
gola. Nella testa.
Ricordo
la sua presenza/non-presenza scenica quando ebbi modo di vederlo
dal vivo in un concerto.
Il suo essere in un luogo pareva sempre non esserlo del tutto.
Lui stava altrove. Nella sua distanza, nella sua lontananza.
E non poteva che essere totalizzante rapimento la sua presa
sul pubblico.
Un
non-essere complesso, un esteta del nichilismo che ha percorso
il reale cercandone le contraddizioni, scavandone le malattie,
inabissandosi nei suoi limiti, spingendosi sempre più nell’oltre.
Ripeteva
“L’unica perfezione è la Morte”.
La Perfezione ora l’hai raggiunta.
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