Intervista
by Nikita
I
Il
vostro ultimo album "Panacea" è uscito dopo 11 anni dal precedente
lavoro "Plastic Terror". Perché così tanto tempo fra questi
due dischi?
La prima ragione è che, per nostra fortuna, non siamo
una delle poche band italiane che campano di musica, pertanto
le energie che riusciamo a dedicare a questa nostra passione
sono sempre piuttosto limitate. Ma effettivamente dopo Plastic
c'è stato anche dell'altro, un appiattimento nell'ispirazione
e soprattutto nelle dinamiche di gruppo, frizioni interne
più o meno palesate, cambi di line-up, poi lavoro, lutti,
figli. Insomma il passaggio dai 35 ai 45 anni è stato per
tutti foriero di grandi novità e responsabilità. Ora però
ci siamo imposti che per il prossimo album non aspetteremo
il 2028.
Perché consideri una fortuna
non vivere di musica?
Perché o sei come i Depeche Mode e fai più o meno quel che
vuoi e quando vuoi, o devi sottostare alle regole dello spettacolo
o del mercato. Pensa a quei poveracci che devono partecipare
a teatrini come X Factor o a chi si deve piegare ai gusti
e alle tendenze del momento. L'Italia non è un paese capace
di valorizzare i suoi talenti e in generale l'arte. Se credi
in te stesso fai la fame. È avvilente. Allora meglio stare
in disparte e raccogliere quel poco che si riesce a far germogliare.
Cosa pensate che ci sia di diverso
e cosa è rimasto immutato degli Artica degli inizi, dei primi
anni 2000 e del 2018?
In generale i nostri album hanno sempre segnato un momento
di stacco rispetto al passato. Ma non è nulla di preordinato,
né di così radicale. Insomma siamo sempre noi. Oggi siamo
più maturi e consapevoli del nostro potenziale, dei nostri
limiti e di quelli della scena. Quel che nella sostanza è
mutato radicalmente rispetto al passato è il nostro modo di
lavorare. Oggi, grazie alle competenze acquisite siamo in
grado di gestire la produzione musicale, dalla composizione
al packaging passando naturalmente per registrazione e missaggio,
in totale autonomia. È un bel traguardo che ci svincola da
molte seccature anche se porta con sé il limite di doversi
regolarmente scontrare con un mondo dove per ottenere 1 devi
lavorare 10, il ché significa lavorare poi anche sulla promozione,
organizzazione degli eventi, contatti, etc. Ma va bene così.
Con
il "senno di poi" avreste cambiato qualcosa nella vostra carriera?
Direi di no. Alla fine anche gli errori servono al perseguimento
di un obiettivo e in ogni caso non ne abbiamo commessi molti.
Avremmo potuto fare alcune scelte diverse, penso per esempio
l'aver firmato alcuni contratti con etichette indipendenti
agli esordi che forse non ci hanno saputo valorizzare abbastanza.
Però non sono sicuro che le cose sarebbero andate granché
diversamente. Per diventare professionisti nell'ambito musicale
devi fare successo a 20 anni ed essere disposto a compromessi.
Noi non lo siamo mai stati.
Ho
trovato "Panacea" intriso di emozioni, tra il romanticismo
e la melancolia, cosa ha fatto scaturire queste emozioni nella
composizione?
Panacea ha avuto una gestazione lunghissima, tanti quanti
sono gli anni passati dalla pubblicazione del precedente album.
Il brano più vecchio è probabilmente Hellehead, l'ultimo Panacea,
la title track. Tra l'uno e l'altro ci sono circa 10 anni
di vita. Probabilmente per quanto "banale" ha influito l'ineluttabilità
del lutto, accanto al "miracolo" della nascita e del perpetuarsi
della vita, situazioni che diversi di noi hanno vissuto in
prima persona.
Il risultato è una forma di saggezza, in bilico tra la rassegnazione
e la riscoperta del senso più profondo delle cose.
Per quanto malinconico Panacea è un album che vuole offrire
una speranza, l'idea che una cura c'è. Basta solo saperla
trovare, anche nelle piccole cose.
In "Panacea" ci sono 2 bonus tracks
in italiano, "Prossime distanze" e "Evanescente", versioni
italiane di due brani già cantati in inglese, che rimandano
al vostro primo periodo, quando cantavate solo in italiano.
Il motivo di aver scelto di fare anche le versioni in italiano?
Sia Evanescent che Batsong sono state scritte prima in inglese
poi in italiano. Ero stimolato dall'idea che, come era stato
per Plastic Terror, anche Panacea dovesse contenere
delle tracce nella nostra lingua. È più una sfida personale
a livello compositivo che un'esigenza reale.
Una volta che i brani erano pronti e li abbiamo passati in
rassegna abbiamo però notato che una differenza così netta
avrebbe tolto uniformità all'insieme. Soprattutto in quest'album
dove è netta la continuità di atmosfere tra una traccia e
l'altra. Così abbiamo optato per inserire entrambe le versioni
separando, almeno idealmente, i due settori.
Quanto
è importante per voi l'aspetto live?
Una band che non suona dal vivo non è una band. Dico questo
nonostante nessuno di noi sia un animale da palcoscenico.
Il bello dell'esperienza live è che è costruita nel momento
in cui avviene mettendo insieme non solo le risorse di chi
suona, ma anche quelle del pubblico. È uno scambio reciproco
che può creare una energia concreta, tangibile. Fare musica
e rinunciare a questo piacere è un controsenso. Certo nel
nostro paese, la scena live è quanto meno disincentivante.
Se non condividi il palco con almeno un altro gruppo non suoni,
se ti pagano le spese è grasso che cola... I locali hanno
preso una china malsana lavorando solo a incasso garantito.
Addirittura, visto che il live lo si paga e la discoteca dopo
no, si incentiva il pubblico a venire dopo! È un abominio
che non rende giustizia a chi suona e crede in quello che
fa.
Quindi, tornando alla tua domanda: è importantissimo suonare
dal vivo, peccato che per farlo bisogna quasi prostituirsi.
C'è una differenza tra gli Artica
in studio e in concerto?
Non molta, l'unica è che in studio siamo decisamente più cazzoni!
Hai presente i teenager in sala prove? Ecco, una cosa del
genere. Ma è bello, è come sentirsi a casa, in una seconda
casa.
Il
concerto che ricordate con più piacere?
Probabilmente quando abbiamo aperto il live ai Clan of Xymox
a Roma. Mi ricordo gli inaspettati complimenti che ci rivolse
Ronny Moorings nel backstage. Molto più freddi e distaccati
i commenti di Cinema Strange a Rimini anche se pure quello
fu per noi un concerto molto gratificante. Ad ogni modo la
serata che al momento ricordo con maggiore piacere è quella
del nostro rientro in scena al Traffic di Roma nel 2014. Suonavamo
solo noi, la sala era gremita di gente con una partecipazione
straordinaria. E ci pagarono pure dignitosamente! Un miraggio.
Cosa avete in programma nel futuro?
A parte il versante live che ci vedrà impegnati in una serie
di concerti sparsi a macchia di leopardo per l'Italia saremo
tra gli headliners al Sacrosant di Reading in Uk. Nel frattempo
continuiamo a produrre musica e presto abbiamo intenzione
di tornare a girare i pomelli all mixer.
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