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@ Magazzini Generali, Milano.11 Ottobre 2015

Testo e foto di Gianmario Mattacheo

Quando si va ad un concerto con l'amico Giorgio Zito, il viaggio verso la meta rappresenta una piacevole scusa per parlare di musica, nelle sue mille sfaccettature.
Quando, poi, la destinazione è un concerto dei P.I.L. ci sentiamo nel mood giusto per goderci un'ottima serata concertistica.
Il gruppo di John Lydon è qui a Milano per la prima di due date italiane, atte a promuovere "What the world needs now", lavoro dal forte impatto sonoro, freschissimo di stampa, ancora intenso e con quella giusta dose di "Fuck", immancabili quando a cantare è l'ex leader dei Sex Pistols.

I Magazzini Generali sono uno degli storici locali milanesi che ancora resiste alla triste ondata di chiusura: dal Rolling Stone, al Transilvania, passando per il Rainbow ed il Palatrussardi, sono ormai molti i locali per concerti che hanno salutato per sempre gli artisti on stage: una triste realtà che, probabilmente, meriterebbe considerazioni ulteriori. Ma ora è tempo di musica dal vivo.

Ad anticipare i P.I.L. ci sono i Delendanoia un duo italiano che sforna un piacevolissimo elettropop. Non è difficile ritrovare gli elementi ispiratori della musica dei Delendanoia: Bluvertigo (molto) e Krisma (più nella tendenza che nel sound) per questa piacevole coppia artistica che, indubbiamente, riesce ad abbinare ottime canzoni ad una presenza scenica tutt'altro che banale. Bravi.

Alle 22.00 i quattro P.I.L. esordiscono con l'apripista di "What the world needs now". "Double trouble" anticipa nel modo giusto il gruppo, in un pezzo che si fa forte della recitazione di John Lydon e dei suoi immancabili "Fuck"! L'ex Sex Pistols, in completa tenuta nera e testa bionda, evidenzia due caratteristiche della sua persona: una voce che si riconoscerebbe ovunque ed ancora brillantissima ed una mole divenuta ormai notevolissima; una taglia che neppure i grandi camicioni neri riescono a nascondere.
Il concerto prosegue con "Know now" in un brano chitarristico tratto ancora da "What the world needs now", mentre con "This is not a love song" e "Bettie Page" il gruppo aggiunge piacevolissime litanie, unite a qualcosa che potremmo anche definire melodia (se solo stessimo a parlare di un gruppo comune).
Da subito, possiamo facilmente constatare quanto i P.I.L. siano dei grandissimi musicisti. Lu Edmunds (definito da Lydon una sorta di Jesus) è mago alle sei corde, presentandosi virtuoso, ma mai ridondante, forte ma non da sovrastare i compagni e sempre puntuale; Bruce Smith regala una batteria che si sente ed è capace di emozionare; il basso di Scott Firth è uno dei regali di questa sera, con la sua ossessiva presenza, pare che possa fare di tutto con la sessione ritmica. Tra loro la voce e la presenza di John Lydon completano un quadro che, in effetti, appare senza sbavature (ed ammetto che nutrivo qualche perplessità).
Le canzoni dell'ultimo lavoro in studio sono giustamente celebrate (è una delle cose migliori sentiti in questo 2015, in effetti), ma quello di stasera non è solo un concerto promozionale: riproposizione dell'album e tanti cari saluti, insomma. Il concerto c'è ed è vero: è duro al punto giusto; vissuto dal pubblico con la necessaria attenzione ed intenso nel suo incedere.
Due parole ancora per John Lydon. Ci piace osservare la sua grande professionalità e le sue qualità canore, non intaccate dagli anni. Tuttavia, sembra che non riesca totalmente ad alienarsi dal suo alter ego Johnny Rotten.
L'impressione è che il personaggio che gli diede l'immortalità nel mondo della musica, voglia (o cerchi) continuamente di fare capolino sul palco, costringendo il povero John Lydon a fare facce imbronciate, linguacce o spallucce, anche quando non necessarie. Come a dire: "Ma il mito dei Sex Pistols mi perseguiterà in eterno?".
Tutti i brani proposti si susseguono con perfetta amalgama: "Death disco" è accolta con favore, mentre "Warrior" è tra le più urlate e chitarristiche. All'interno della setlist, invero, ci piace segnalare la "vecchia" "The body" e la recente "The one"; in quest'ultimo la chitarra ossessiva e ripetitiva di Edmunds finisce per essere un piacevole martellare che inchioda lo spettatore nei suoi monocordi riff.
Dopo un'ora e mezza di concerto, la band si concede qualche minuto di stop, salvo tornare per il commiato, costituito dagli ultimi due pezzi.
Una "Public image" tratta dal primo album e la definitiva "Rise" che, molto probabilmente, è il brano più rappresentativo della ditta, sono eccellenti e ci lasciano nel miglior modo. Il pubblico che canta in coro le parole di Lydon e le mani alzate sono l'ultima immagine di stasera, per un gruppo dallo spessore davvero notevole.