GAE
BOLG
VERSIONE
ITALIANA
Intervista
di M/B'06
Foto di Erik Damiano
Ciao
Eric, innanzitutto grazie per il tempo dedicatoci per questa
intervista e congratulazioni per il tuo ultimo lavoro, che
conferma ancora una volta l’assoluta originalità e
la continua evoluzione della tua musica.
Grazie
per i complimenti! Il mio piccolo cervello malato e narcisista
dà il giusto valore a questi complimenti!!!
Come
definiresti la tua musica? E’ possible dare un’idea della
tua proposta musicale a chi non ha mai ascoltato i tuoi lavori?
In
questo momento, pratico una specie di musica sinfonico-industriale
ossessiva post-medievale psichedelica con tendenze operistico-poppeggianti
per dancefloor psichiatrico con una punta di krautrock grottesco…o
qualcosa di simile…ma non è mai stato molto semplice
definirla…
Cosa
significa il nome Gaë Bolg e cosa ti ha spinto a sceglierlo,
partendo da “Seven Pines” e “Gaë Bolg and the Church
of Fand”? Cos’è la Chiesa di Fand?
Gaë
Bolg è il nome della lancia magica di Cuchullain (o
Cucullino, nda), l’eroe nazionale irlandese che ha salvato
l’Irlanda per caso: era troppo stupido per comprendere quello
che faceva! E’ senza dubbio l’eroe più stupido di tutto
il corpus mitologico mondiale ed io l’ho scelto proprio per
questa ragione, come reazione a tutti i gruppi neo-folk ed
industriali in circolazione, che con una serietà incrollabile
su dei simboli idioti mettono in mostra la loro forza, il
loro coraggio, la loro intelligenza, il loro cervello europeo
molto molto grande e molto molto vuoto e senza dubbio anche
la taglia della loro appendice. Gaë Bolg è quindi
un nome assurdo per un gruppo assurdo.
La Chiesa di Fand è uno pseudo-organo apostolico
dedicato alla dea Fand, personaggio della mitologia celtico-irlandese
che simboleggia l’immagine della sirena, del desiderio e della
donna nel suo erotismo più esasperato. Una Chiesa ‘boccaccesca’ in
qualche modo. Originariamente, è stata una risposta
in tono studentesco e rabelaisiano alla moda dei rituali pagani.
Poi è diventata un’adunanza di adoratori dei cavalieri
del Ni.
Oggi la Chiesa di Fand non esiste più. L’ho
sciolta. Cosa che d’altronde non è stata molto difficile
poiché non è mai esistita ed io non ho più
una vita sessuale.
Seven Pines è il nome del mio primo progetto
musicale. Il nome deriva dall’episodio ‘L’héritage
diabolique’ della geniale serie inglese The Avengers.
Cronologicamente, Seven Pines è dunque anteriore
a Gaë Bolg. All’inizio, Gaë Bolg era
solamente un divertente side project, una grande burla che
riprendeva tutta una serie di cliché amplificandoli
esageratamente e facendone qualcosa di eccessivamente ampolloso,
ridicolo e derisorio. Era prima di tutto parodistico. Poi
ho preso gusto al gioco, il personaggio di Bolg è evoluto
rapidamente, è diventato in parte più ‘serio’
(certamente in un modo molto strano!), forse anche più
dada, il lato fondamentalmente studentesco e parodistico è
sparito nel secondo album (Tintagel) e di colpo, il
progetto è continuato molto al di là di quello
che avrei immaginato all’inizio, per evolvere in seguito verso
la profondità e la follia, senza dubbio anche verso
una maggiore oscurità. L’ironia stridente ha di colpo
rimpiazzato la parodia.
Mentre Seven Pines era molto più personale che
all’inizio. Anche se c’era sovente dello humour, lo sfondo
era molto meno studentesco. Era più romantico, più
onirico, anche più psichedelico…e adesso si è
ancora evoluto…oggi direi che Seven Pines è
il mio piccolo giardino segreto da dove escono da un momento
all’altro dei fiori più o meno malati…non c’è veramente
uno schema né dei limiti con Seven Pines, mi
sento libero di fare quello che voglio, mentre Gaë
Bolg conserva un certo numero di schemi, anche se non
so troppo quali effettivamente siano.
Ho spesso detto che Gaë Bolg era un personaggio
mentre Seven Pines ero io, ma con un po' più
di distacco, penso che questo non sia completamente vero.
Gaë Bolg è un personaggio che mi scimmiotta,
Seven Pines è un personaggio che cerca di recitare
la mia parte.
Durante
I concerti di Gaë Bolg, ho notato che vesti una specie
di tonaca con un drappo rosso su cui capeggia il numero 7.
Immagino che la tonaca si riferisca alla Chiesa di Fand, invece
puoi spiegarti il significato del 7 e dei numeri in generale
per te?
Il
7 è un riferimento a Seven Pines e dunque, indirettamente,
ad Avengers. Il culto molto serio della numerologia
che troviamo qui e là mi ha sempre profondamente divertito,
ed ho sempre amato giocarci e farmene beffe.
Detto questo, sono peraltro appassionato di matematica, simmetria,
equazioni da risolvere (non per niente adoro Peter Greenaway!)
e, prima di lanciarmi nella musica, avevo pensato di dedicarmi
alle scienze matematiche. Sono abbastanza fissato con i numeri
nella mia vita attuale e ho spesso tendenza a contare le cose
nel quotidiano. Non c’è nessun rituale, né significato
magico, non credo a tutte queste stupidaggini, sono solo dei
piccoli atti un po’ autistici…
Tornando agli abiti di scena ed ai decori, queste sono cose
molto importanti per noi e fanno parte di un tutto. Ho sempre
pensato ai concerti di Gaë Bolg come a degli spettacoli.
Noi siamo abbastanza rock’n roll per certi versi, caotici,
diretti e teatrali. Nulla mi annoia di più che vedere
in scena uno che gira delle manopole sul suo laptop bevendo
una birra con un gesto calcolato e un’aria concentrata, o
piuttosto vedere un gruppo con un chitarrista suonare in maniera
molto seria tre accordi di chitarra con una scopa nel culo
accompagnato da un cantato che proclama il suo odio per l’umanità
e da un tamburo approssimativo, credendosi alla campagna di
reclutamento del suo reggimento. Tutto questo manca talmente
di personalità, d’originalità, di anima, di
follia, di palle!!!
Gruppi come Residents, Sheep on Drugs, Felix
Kubin, Present o Magma mi hanno molto influenzato.
Per me la scena è un modo di scaricarmi, ci metto tutto
quello che c’è da metterci, è intenso, violento e talvolta
incontrollabile. Mi piace quando questo scivola verso qualcosa
di spaventoso, di grottesco, d’insolente, di poetico, di ridicolo,
di apocalittico, verso qualcosa che non avevo previsto, mi
piace quando è vivo, mi piace quando il pubblico si
prende un pugno in bocca, mi piace quando reagisce, anche
negativamente ma reagisce, mi piace quando danza, quando si
diverte, quando ha paura, non mi piace il pubblico passivo
che trova tutto questo semplicemente ‘carino’, ‘simpatico’
o ‘interessante’. Il mio grande sogno è che i concerti
di Gaë Bolg finiscano un giorno in un’orgia, dove tutti
danzano, bevono, scopano e si drogano mano nella mano col
culo di fuori! Ho una tendenza naturale a fuggire al facile
consenso, fenomeno un po’ troppo presente in tutti gli strati
della società contemporanea e che si manifesta sia
nel ‘mainstream’ che nel sedicente ‘underground culturale’
il quale passa più tempo ad accarezzarsi l’ombelico
che ad alzare il proprio culo.
Il XXI secolo manca di anima, di utopie, di sogni, il XXI
secolo ha paura di mostrare le sue emozioni, ha paura d’amare,
ha paura di lasciarsi andare, il XXI secolo non scopa più!!!
Si, lo so, sono un hippie…
Ascoltando
la musica di Gaë Bolg possiamo talvolta sentirci estremamente
felici talvolta avere momenti di grande malinconia e pathos.
Qual è il messaggio che porti attraverso la tua musica?
Penso
che la mia musica è semplicemente viva, a immagine
della mia esistenza. Sono sostanzialmente una persona abbastanza
gioiosa, non necessariamente ottimista ma gioiosa : vorrei
abbracciare il mondo e che il mondo mi abbracci perché
adoro i baci!!!
C’è senza dubbio tutto questo dentro la mia musica, tristezza
e malinconia perché neanch’io sono sempre felice, romanticismo
perché in fondo sono un gran romantico, rivolta e anche
rabbia perché il mondo in cui si vive mi dà
spesso il voltastomaco ed io mi sento la maggior parte delle
volte impotente.
Amo i grandi slanci lirici, le orchestrazioni cariche e dense,
amo i post romantici di inizio XX secolo come Mahler, Zemlinsky
o Schrecker, c’è una fiamma naturale, eccessiva e, talvolta
anche, bisogna riconoscerlo, un po’ volgare, che mi tocca
profondamente. Amo questo aspetto qui, questa eccessiva magniloquenza,
amo una certa forma di ‘facilità’ sufficiente a trasportarmi
ed esaltarmi, c’è qualcosa di chimico e animalesco là
dentro, ma non lo rifiuto, per la semplice ragione che l’amo.
Se c’è un messaggio in Gaë Bolg, è semplice :
non aver paura di vivere, amare le persone e non esitare a
dirglielo, gettarsi nel vuoto invece di consumare, dividere
con gli altri, rispettare la natura, rimettersi in discussione
continuamente, amare i liocorni, rifiutare l’odio e tutte
le forme di paura dell’altro che corrodono il genere umano.
Puoi
parlare della tua educazione ricevuta in campo musicale iniziata
quando eri un bambino e dirci quanto è stata importante
durante questi anni per la creazione delle tue canzoni?
Ho
iniziato a ricevere un'educazione musicale classica molto
presto (6 anni), conservatorio, scuola di musica, solfeggio,
tromba, ukulele, balalaika, bombarda, triangolo poi più
tardi pianoforte, armonia, chitarra, sarrussofono, bombardone,
saz (una specie di liuto, nda), voce e contrappunto, educazione
perseguita durante i miei anni di collegio e di liceo, poi
più tardi da studente in musicologia. Molto tempo perso
dunque, molta noia, ma anche buone crisi di riso, alcuni compagni
di bevute, un impegno libertario e libertino, dei piacevoli
incontri, una furiosa voglia di dare dei calci nel formicaio,
delle giornate passate a rifare il mondo, tante preghiere
a Dada, molti mal di testa e senza dubbio anche un po’ di
rigore e di mestiere. Gaë Bolg non è dunque stato
solamente influenzato da questa educazione, ma ne è
l’ideale allégoria!
Puoi
parlare di "Petit traité de Gymnosophie"? Cos’è
la "Gimnosofia"?
Il
Petit traité de Gymnosophie parla della difficoltà
a conciliare felicità e spirito critico e, in maniera
più generale, della difficoltà a raggiungere
questa stessa felicità. Ho scoperto l’idea dei Gimnosofisti
in Baudolino di Umberto Eco e ho immediatamente trovato materia
per una domanda che era entrata facendo eco ad una delle mie
ossessioni.
Eco
è uno scrittore che ammiro in modo particolare per
la sua capacità di mescolare l’erudizione, il cerebrale
e il ludico sempre conservando una forte accessibilità
al “grande pubblico”, dimostrando che si può scrivere
un best seller senza cadere nel provocatorio e della filosofia
di alto livello senza cadere nell’elitarismo. Il pendolo di
Foucault resta per me uno dei più grandi libri mai
scritti.
I
Gimnosofisti sono presentati da Eco come una popolazione di
asceti naturisti ultra-ottimisti che, qualunque sia il male
che sentono, trovano sempre dentro questo male una buona ragione
per essere felici. Per esempio il cieco trova un motivo per
rallegrarsi in quanto non vede le cose brutte del mondo. Di
fatto, anche se vivono in un ambiente ostile ed inospitale,
i Gimnosofisti sono sempre contenti. Il rovescio della medaglia
è invece dedicato a quelli che hanno perso ogni spirito
critico, ogni capacità di rimettersi in discussione
e che sono potenzialmente capaci di accettare tutto senza
alcuna obiezione.
Il
Petit traité de Gymnosophie parla di tutto questo.
Cos’è la felicità? Possiamo di volta in volta porci
delle domande ed essere felici? Inoltre, cosa siamo disposti
a perdere della nostra libertà di pensare e della nostra
libertà in generale per essere felici? Dobbiamo pertanto
rifiutare la felicità nel nome del rigore intellettuale?
Esiste un compromesso accettabile? In quale misura la nostra
aspirazione alla felicità non è alla fine una
forma di controllo sociale? Esiste una scappatoia?
Nel
Petit traité de Gymnosophie, dialogano un certo
numero di figure archetipali presunte rappresentanti delle
ultime posture, esponendo i loro punti di vista, i loro fantasmi,
i loro sogni, ma anche i loro limiti. Vi troviamo anche dei
pazzi, dei monaci spretati, degli animali, dei pupazzi, degli
hippie ed il mondo dell’infanzia, il tutto sullo sfondo della
psichedelia anni ‘70, della clinica psichiatrica, della chiusura
ossessiva, della follia e senza dubbio di un sacco d’altre
cose ancora…Naturalmente non ci sono risposte preconfezionate,
ma solo delle domande e tutt’al più qualche spunto
di riflessione.
Parliamo
de "La ballade de l'Ankou", che personalmente ho trovato eccezionale:
immagino che la copertina rappresenti l’Ankou, cioè
una specie di Caronte della mitologia bretone. Cos’altro puoi
dire relativamente all’idea che sta dietro questo album?
Ho
sempre molto amato la Bretagna, il mare, le rocce, le alghe,
le gallette di grano saraceno, le chouchen (bevanda alcolica
derivata dalla fermentazione del miele, nda), il burro salato,
il sidro, la zuppa di pesce, il Muscadet (vino bianco originario
della regione di Nantes, nda), i fest noz (feste popolari
bretoni che normalmente seguono le manifestazioni religiose,
nda), e quindi, necessariamente, l’Ankou!
La figura dell’Ankou è una figura avvincente del folclore
bretone. Rappresenta la morte attraverso una visione molto
cattolica e totalmente pagana allo stesso tempo. E’ abbastanza
contraddittorio…o deliziosamente pragmatico!
E’ un modo abbastanza particolare di vedere la morte, che
rispondeva senza dubbio alle angosce di un popolo di pescatori
dei quali molti morivano per mare: la morte è onnipresente,
terrificante, ineluttabile, familiare, ‘normale’, e può
anche essere tranquillizzante, comica, perfino grottesca!
Le storie sull’Ankou pullulano di personaggi un po’ idioti,
di mariti cornificati, di situazioni da vaudeville. Ci sono
a volte dei presagi di morte, il futuro morente è quindi
prevenuto: esso li spinge a consacrare i loro ultimi giorni
alla preghiera o ai loro cari, o anche a far festa! L’uno
non impedendo l’altro d’altronde! E’ una morte triste
e allegra allo stesso tempo, redentrice (nel senso cattolico
del termine) e derisoria. Ci confrontiamo infatti con essa
nel quotidiano, e ne ridiamo! E’ abbastanza rabelaisiano tutto
sommato!
Ho provato a trascrivere tutto questo ne La ballade de
l’Ankou, quest'atmosfera un po' triste, non religiosa
ma quasi.
Cosa
puoi dirci riguardo al tuo debutto "John Barleycorn must die"?
La musica suona come un preludio de "La ballade de l'Ankou".
Di cosa parla esattamente?
John
Barleycorn preludio a La ballade de l’Ankou? Perché
no…non ci avevo mai pensato, ma mi piace molto questa idea!
Quello che è sicuro, è che La ballade de l’Ankou
è stata per me una conclusione e che dopo, sono passato
ad altro. Credo di essere andato al limite di una ‘formula’
con questo album, formula che era stata appena abbozzata in
John Barleycorn e piuttosto ‘maltrattata’ in Tintagel, forse
il più ‘sperimentale’ dei tre.
Non so troppo di cosa parla John Barleycorn per dirla tutta…E'
un delirio medievale rabelaisiano puramente fantasmatico.
Una farsa parodistica. Una grossa burla un po' grassa. E'
anche un omaggio a Traffic ed a Jeff Noon. Credo che a ben
vedere non ci si debba cercare molto altro…perché in
effetti, un personaggio che si fa torturare, uccidere, trucidare,
bruciare, trapanare, e che ritorna senza sosta col sorriso
sulle labbra per subire degli altri servizi ancora più
sadici è o totalmente masochista, o completamente idiota,
o tutt'e due!
Altri
progetti: in questi giorni stai preparando qualcosa o sei
concentrato sul tuo progetto principale? Puoi rivelarci qualcosa
sul tuo futuro?
Nell’immediato
(ho ricevuto i cd ieri!, (probabilmente il 9/9/10, nda)),
uscirà Inclus concentré de génie avec
morceaux dedans, primo album del mio progetto Silver Lady
(con Dr Sin), una specie di versione vagamente pop, psichedelica
e scentrata di Gaë Bolg.
Ho
anche appena finito la registrazione di La Nef des Fous, un
album di Gaë Bolg con un coro e una grande orchestra
sinfonica classica e che uscirà il mese prossimo,
in contemporanea al brillante nuovo album di 23 Trublion 23
(Chants et danses du temps de Graffen Walder) sul quale partecipo
d’altronde attivamente!
Un po' più tardi, e nel disordine, in mezzo a molte
altre cose, ci sarà un nuovo album di Seven Pines
(7 chants pour Nini), una collaborazione di Gaë
Bolg con Lise N. (Dernier périple en
Val de Noir), una di Gaë Bolg con Stille
Volk, proprio sul seguito della trilogia dei Gimnosofisti…
Un
tour dal vivo supporterà il tuo nuovo album?
Questo
dipenderà semplicemente dalle proposte che riceveremo!
Per il momento, solo due date acustiche sono previste in Francia
(il 26 novembre a Rennes e il 27 a Cherbourg).
Siamo aperti a tutte le proposte, non esitate dunque a contattarci
se volete far passare Gaë Bolg nel vostro paese, nella
vostra regione, nella vostra città, nel vostro castello,
nel vostro salone o nel vostro luogo di lavoro!
So
che sei nativo di Clermont Ferrand, famoso per i suoi vulcani.
Condividi anche tu questo interesse? In Italia ne abbiamo
molti, quindi un tour italiano potrebbe essere una buona scusa
per visitarli.
Gaë Bolg ha ormai totalmente tirato una
riga sulle sue radici alverniate e si consacra esclusivamente
al suo amore per i menhir. Una buona cassa di bottiglie di
Chianti dovrà non meno facilmente persuadere il Nostro
Gran Maestro a riconsiderare la questione e la necessità
di visitare i vulcani italiani!
Sito
web: www.myspace.com/gaebolg
|
Interview:
M/B'06
photographies:
Erik
Damiano
Salut
Eric, tout d'abord, merci beaucoup pour le temps nous dédié
pour cette interview et félicitations pour ton dernier travail,
qui est encore une fois une confirmation de l'absolue originalité
et évolution continue de ta musique.
Merci
pour les compliments ! Mon petit cerveau malade et égotique
apprécie ces compliments à leur juste valeur!!!
Comment
on peut définir ta musique? Est-ce que c'est possible de donner
une idée de ta proposition musicale à qui a jamais écouté
tes chansons?
En
ce moment, je pratique une espèce de musique symphonico-industrielle
obsessionnelle post-médiévale psychédélique
à tendance opératico-popisante pour dancefloor psychiatrique
teinté de krautrock grotesque…
Ou quelque chose comme ça… Mais ça n’a
pas toujours été aussi simple…
Qu'est-ce
que signifie Gaë Bolg et quelle était la raison pour choisir ce nom,
à partir de "Seven Pines" et "Gaë Bolg and the Church of Fand"? Qu'est-ce
que c'est l'église de Fand?
Gaë
Bolg est le nom de la lance magique de Cucchulain, le héros
national irlandais qui a sauvé l’Irlande
par accident, trop bête qu’il
était pour avoir compris ce qu’il
faisait ! C’est
sans doute le héros le plus stupide de toute le corpus mythologique
mondial et je l’ai choisi
pour cette raison, en réaction à tous les groupes néo-folk
et industriels qui surfent avec un sérieux inébranlable
sur des symboles idiots censés mettre en avant leur force,
leur courage, leur intelligence, leur cerveau européen très
très gros et très très vide et sans doute aussi
la taille de leur appendice.
Gaë
Bolg est donc un nom absurde pour un groupe absurde.
La
Church of Fand est un pseudo-organe apostolique dédié
à la déesse Fand, personnage de la mythologie celtico-irlandaise
qui symbolise l’image
de la sirène, du désir et de la femme dans son érotisme
le plus exacerbé. Une Eglise de la gaudriole en quelque sorte.
A l’origine, c’était
une réponse potache et rabelaisienne aux rituels païens
à la mode. Puis c’est
devenu un rassemblement d’adorateurs
des chevaliers du Ni.
Aujourd’hui,
la Church of Fand n’existe
plus. Je l’ai dissoute.
Ce qui n’a d’ailleurs
pas été très difficile puisqu’elle
n’existait pas et que
je n’ai plus de vie
sexuelle.
Seven
Pines est le nom de mon tout premier projet musical. Le nom vient
de l’épisode
‘L’héritage
diabolique’ de la géniale
série anglaise The Avengers. Chronologiquement, Seven
Pines est donc antérieur à Gaë Bolg.
Au départ, Gaë Bolg était juste un side
project amusant, une grosse blague qui reprenait tout un assortiment
de clichés afin de les grossir exagérément et
d’en faire quelque chose
d’excessivement ampoulé,
ridicule et dérisoire. C’était
avant tout parodique. Et puis je me suis pris au jeu, le personnage
de Bolg a évolué rapidement, est devenu quelque part
plus ‘sérieux’
(d’une bien étrange
manière, certes !), peut-être aussi plus dada, le
côté basiquement potache et parodique a disparu dès
le deuxième album (Tintagel) et du coup, le projet a
continué, bien au-delà de ce que j’imaginais
au départ, pour évoluer ensuite vers à la fois
plus de profondeur et plus de folie, sans doute aussi vers plus de
noirceur. L’ironie grinçante
a du coup remplacé la parodie.
Alors
que Seven Pines était beaucoup plus personnel dès
le départ. Même si il y avait souvent de l’humour,
le fond était beaucoup moins potache. C’était
plus romantique, plus onirique, plus psychédélique aussi…
Là encore, ça a évolué… Aujourd’hui,
je dirais que Seven Pines est mon petit jardin secret d’où
sortent de temps à autre quelques fleurs plus ou moins malades…
Il n’y a pas vraiment
de cadre ni de limites avec Seven Pines, je me sens libre de
faire ce que je veux, alors que Gaë Bolg garde un certain
nombre de cadres, même si je ne sais en fait pas trop lesquels.
J’ai
souvent dit que Gaë Bolg était un personnage alors
que Seven Pines, c’était
moi, mais avec un peu plus de recul, je pense que ce n’est
pas tout à fait vrai. Gaë Bolg est un personnage
qui me singe, Seven Pines est un personnage qui essaie de jouer
mon rôle.
Pendant
les concerts de Gaë Bolg, j'ai noté que tu es dressé
dans une sorte de soutane avec un drap rouge sur lequel c'est marqué
le nombre 7. J'imagine que la soutane se réfère à
l'église de Fand, par contre peux tu clarifier le significat
du 7 et de nombres pour toi?
Le
7 est une référence à Seven Pines et donc,
indirectement, aux Avengers. Le culte très sérieux
de la numérologie que l’on
rencontre ça et là m’a
toujours profondément amusé, et j’ai
toujours aimé jouer avec et le tourner en dérision.
Ceci
dit, je suis par ailleurs passionné par les mathématiques,
par la symétrie, par les équations à résoudre
(ce n’est sans doute
pas pour rien que j’adore
Peter Greenaway !), et, avant de me lancer dans la musique, j’avais
pensé me destiner aux mathématiques. Je suis assez hanté
par les chiffres dans ma vie courante et j’ai
souvent tendance à compter des choses au quotidien. Il n’y
a là aucun rituel ni signification magique, je ne crois pas
à toutes ces âneries, ce sont juste des petits gestes
un peu autistes…
Pour
revenir aux vêtements de scène et aux décors,
c’est quelque chose
de très important pour nous et ça fait partie d’un
tout. J’ai toujours
conçu les concerts de Gaë Bolg comme des spectacles.
Nous sommes assez rock’n
roll quelque part, chaotiques, rentre-dedans et théâtraux. Rien ne
m’ennui plus que de
voir sur scène un type tourner des boutons sur son laptop en
buvant une bière avec un geste calculé et un air concentré,
ou alors de voir un groupe avec un guitariste jouer très sérieusement
3 accords de guitare avec un balais dans le cul accompagné
par une voix chantant faux sa haine de l’humanité
et un tambour approximatif se croyant aux journées portes ouvertes
de son régiment. Tout ça manque tellement de personnalité,
d’originalité,
de trippes, de folie, de couille !!!
Des
groupes comme les Residents, Sheep on Drugs, Felix
Kubin, Present ou Magma m’ont
beaucoup marqué.
Pour
moi, la scène est un exutoire, je lâche tout ce que j’ai
à lâcher, c’est
intense, violent et parfois incontrôlable. J’aime
quand ça dérape vers quelque chose d’effrayant,
de grotesque, d’insolent,
de poétique, de ridicule, d’apocalyptique,
vers quelque chose que je n’avais
pas forcément prévu, j’aime
quand c’est vivant,
j’aime quand le public
se prend une claque dans la gueule, j’aime
quand il réagit, même négativement tant qu’il
réagit, j’aime
quand il danse, quand il s’amuse,
quand il a peur, je n’aime
pas le public passif qui trouve ça juste ‘joli’,
‘sympa’
ou ‘intéressant’.
Mon grand rêve est que les concerts de Gaë Bolg finissent
un jour en partouze, où tout le monde danse, boive, baise et
se drogue main dans la main et le cul à l’air !
J’ai une tendance naturelle
à fuir le consensus mou, phénomène un peu trop
présent dans toutes les strates de la société
actuelle et qui se manifeste autant dans le ‘mainstream’
que dans le soi-disant ‘underground
culturel’ qui passe
plus de temps à se caresser le nombril qu’à
se bouger son cul.
Le
XXIème siècle manque de trippes, d’utopie,
de rêves, le XXIème siècle a la trouille de montrer
ses émotions, a la trouille d’aimer,
à la trouille de se livrer, le XXIème siècle
ne baise plu !!!
Oui,
je sais, je suis un hippie…
En
écoutant la musique de Gaë Bolg nous pouvons nous sentir
parfois extrêmement heureux autrefois avoir des moments de mélancolie
et de pathos. Quel est le message que tu porte dans ta musique?
Je
pense que ma musique est juste vivante, à l’image
de mon existence. Je suis plutôt quelqu’un
d’assez joyeux, pas
forcément très optimiste mais joyeux : je voudrais
embrasser le monde et que le monde m’embrasse
parce que j’adore les
bisous !!!
Il
y a sans doute de tout ça dans ma musique, de la tristesse
et de la mélancolie parce que je ne suis pas toujours joyeux
non plus, du romantisme parce qu’au
fond de moi je suis un grand romantique, de la révolte et de
la rage aussi parce que le monde dans lequel on vit me révolte
souvent et que je me sens la plupart du temps impuissant.
J’aime
les grandes envolées lyriques, les orchestrations chargées
et touffues, j’aime
les postromantiques du début du XXème siècle
comme Mahler, Zemlinsky ou Schrecker, il y a une flamme naturelle,
excessive et, parfois aussi, il faut le reconnaitre, un peu vulgaire,
qui me touche profondément. J’aime
cet aspect là, ce grandiloquent excessif, j’aime
une certaine forme de ‘facilité’
tant qu’elle m’emporte
et m’exalte, il y a
quelque chose de basique et d’animal
là-dedans mais je ne le refuse pas, pour la simple raison que
j’aime ça…
S’il
y a un message dans Gaë Bolg, il est simple : ne pas avoir
peur de vivre, aimer les gens et ne pas hésiter à leur
dire, s’envoyer en l’air
plutôt que de consommer, partager avec les autres, respecter
la nature, se remettre sans cesse en question, aimer les licornes,
refuser la haine et toutes les formes de peurs de l’autre
qui rongent l’espèce
humaine.
Est-ce
que tu peux parler de ton éducation musicale, démarré
quand tu était un enfant et nous dire dans quelle mesure était
important pendant ces ans pour la composition de tes chansons?
J’ai
commencé de recevoir une éducation musicale classique
très tôt (6 ans), conservatoire, école de musique,
solfège, trompette, ukulélé, balalaïka basse,
bombarde, triangle puis plus tard piano, harmonie, guitare, sarrussophone,
hélicon, saz, voix et contrepoint, éducation poursuivie
pendant mes années de collège et de lycée, puis
plus tard en fac de musicologie. Beaucoup de temps de perdu donc,
pas mal d’ennui, mais
également de bonnes crises de rire, quelques compagnons de
beuverie, un engagement libertaire et libertin, des jolies rencontres,
une furieuse envie de donner des coups de pied dans la fourmilière,
des journées passées à refaire le monde, de nombreuses
prières à Dada, pas mal de maux de tête et sans
doute aussi un peu de rigueur et de métier. Gaë Bolg n’a
donc pas seulement été influencé par cette éducation,
il en est l’idéale
allégorie !
Est-ce
que tu peux parler de "Petit traité de Gymnosophie"? Quelle
est la "Gymnosophie"?
Le
Petit traité de Gymnosophie parle de la difficulté
à concilier bonheur et esprit critique, et, d’une
façon plus générale, de la difficulté
à atteindre ce même bonheur. J’ai
découvert l’idée
des Gymnosophes dans Baudolino d’Umberto
Eco et ai immédiatement trouvé là matière
à un questionnement qui entrait en écho avec une de
mes obsessions.
Eco
est un écrivain que j’admire
tout particulièrement pour sa capacité à mélanger
l’érudition,
le cérébral et le ludique tout en conservant une accessibilité
très ‘grand public’,
prouvant par là qu’on
peut écrire à la fois un best seller sans tomber dans
le racoleur et de la philosophie de haute volée sans tomber
dans l’élitisme.
Le pendule de Foucault reste pour moi un des plus grands livre
jamais écrit.
Les
Gymnosophes sont présentés par Eco comme une peuplade
d’ascètes naturistes
ultra-optimistes qui, quelque soit le malheur qui les éprouvent,
trouvent toujours dans ce malheur une bonne raison d’en
être heureux. Par exemple, l’aveugle
a lieu de se réjouir car il ne voit pas les mauvaises choses
du monde. Du coup, bien qu’ils
vivent dans un milieu hostile et inhospitalier, les Gymnosophes sont
toujours heureux. La contrepartie est bien sur qu’ils
ont perdu tout esprit critique, toute capacité de remise en
question et qu’ils sont
potentiellement capables de tout accepter de n’importe
qui sans révolte aucune.
Le
Petit traité de Gymnosophie parle de tout ça.
Qu’est-ce que le bonheur?
Peut-on à la fois se poser des questions et être heureux ?
Par extension, qu’est-on
prêt à perdre de notre liberté de penser et de
notre liberté tout court pour être heureux ? Doit-on
pour autant refuser le bonheur au nom de la rigueur intellectuelle ?
Existe-t-il un compromis acceptable? Dans quelle mesure notre aspiration
au bonheur n’est-elle
finalement pas une forme de contrôle social? Existe-t-il une
échappatoire?
Dans
le Petit traité de Gymnosophie, un certain nombre de
figures archétypales censées représenter des
postures ultimes dialoguent, exposent leur point de vue, leurs fantasmes,
leurs rêves, mais aussi leurs limites. On trouve ainsi des fous,
des moines défroqués, des animaux, des poupées,
des hippies et le monde de l’enfance,
le tout sur fond de psychédélisme seventies, d’asile
psychiatrique, d’enfermement
obsessionnel, de folie et sans doute de plein d’autres
choses encore… Bien sur, il n’y
a pas de réponses toutes faites, juste des questions et tout
au plus quelques pistes de réflexion.
A
propos de "La ballade de l'Ankou", que j'ai personellement trouvé
exceptionnel: j'imagine que la couverture répresente l'Ankou,
c'est à dire une espèce de Charon dans la mythologie
bretonne. Qu'est-ce que tu peux encore dire sur l'idée derrière
cet album?
J’ai
toujours beaucoup aimé la Bretagne, la mer, les rochers, les
algues, les galettes de sarrasin, le chouchen, le beurre salé,
le cidre, la soupe de poisson, le Muscadet, les fest noz, et donc,
forcément, l’Ankou!
La
figure de l’Ankou est
une figure passionnante du folklore breton. Elle représente
la mort à travers une vision à la fois très catholique
et totalement païenne. C’est
assez contradictoire… ou délicieusement pragmatique!
C’est
une façon assez particulière de voir la mort, qui répondait
sans doute aux angoisses d’un
peuple de pêcheurs dont beaucoup mourraient en mer : la
mort est à la fois omniprésente, terrifiante, inéluctable,
familière, ‘normale’,
et peut même être apaisante, comique, voire grotesque !
Les histoires sur l’Ankou
regorgent de personnages un peu idiots, de maris cocufiés,
de situations de vaudevilles. Il y a parfois des signes annonciateurs
de la mort, le futur mourant est donc prévenu : il va
dès lors consacrer ses derniers jours à la prière
ou aux siens, ou alors à faire la fête! L’un
n’empêchant d’ailleurs
pas l’autre ! C’est
une mort triste et joyeuse à la fois, rédemptrice (au
sens catholique du terme) et dérisoire. Comme on y est confronté
au quotidien, on fait avec et on en rigole ! C’est
assez Rabelaisien somme toute !
J’ai
essayé de retranscrire tout ça dans La ballade de
l’Ankou,
cette atmosphère un peu triste, pas tout à fait religieuse
mais presque.
En
ce qui concerne "John Barleycorn must die" la musique semble comme
le prélude de "La ballade de l'Ankou". De quoi parle exactement?
John
Barleycorn prélude à La ballade de l’Ankou?
Pourquoi pas… Je n’y
avais jamais pensé, mais j’aime
bien cette idée !
Ce
qui est sur, c’est que
La ballade de l’Ankou
a été pour moi un aboutissement et qu’après,
je suis passé à autre chose. Je crois que je suis allé
au bout d’une ‘formule’
dans cet album, formule qui avait été à peine
esquissée dans John Barleycorn et plutôt ‘maltraitée’
dans Tintagel, peut-être le plus ‘expérimental’
des trois.
Je
ne sais pas trop de quoi parle John Barleycorn pour tout dire…
C’est un délire
médiéval Rabelaisien purement fantasmatique. Une farce
parodique. Une grosse blague un peu grasse. C’est
aussi un hommage à Traffic et à Jeff Noon. Je crois
qu’il ne faut pas chercher
à y voir grand chose d’autre…
Car quand même, un personnage qui se fait torturer, tuer, trucider,
bruler, trépaner, et qui revient sans cesse le sourire aux
lèvres pour subir d’autres
sévices encore plus sadiques est ou totalement masochiste,
ou carrément idiot, ou les deux!
Tes
autres projets: est tu en train de préparer quelque chose ou
tu est concentré sur ton projet principal? Est-ce que tu peux
nous anticiper quelque chose?
Dans
l’immédiat (j’ai
reçu les cds hier !), il va y avoir la parution de Inclus
concentré de génie avec morceaux dedans, 1er
album de mon side project Silver Lady (avec Dr Sin), une espèce
de version vaguement pop, psychédélique et azimutée
de Gaë Bolg.
Je
viens également de finir le mastering de La Nef des Fous,
un album de Gaë Bolg avec un chœur et un grand orchestre symphonique classique
et qui va paraitre le mois prochain, en même temps que le brillant
nouvel album de 23 Trublion 23 (Chants et danses du temps
de Graffen Walder) sur lequel je participe d’ailleurs
activement !
Un
peu plus tard, et dans le désordre, parmi beaucoup d’autres
choses, il y aura un nouvel album de Seven Pines (7 chants
pour Nini), une collaboration de Gaë Bolg avec Lise
N. (Dernier périple en Val de Noir), une de Gaë
Bolg avec Stille Volk, et bien sur la suite de la trilogie
des Gymnosophes…
Est-ce
qu'il est prévu un live tour pour supporter ton nouveau CD?
Cela
va simplement dépendre des propositions que nous recevrons!
Pour l’instant, seules
deux dates acoustiques sont prévues en France (le 26 novembre
à Rennes et le 27 à Cherbourg).
Nous
sommes en tout cas ouverts à toute proposition, n’hésitez
donc pas à nous contacter si vous voulez faire passer Gaë
Bolg dans votre pays, votre région, votre ville, votre château,
votre salon ou votre lieu de travail !
Je
sais que tu est né à Clermont Ferrand, fameux pour ses
volcans. As tu aussi le même intérêt? In Italie
nous n'avons beaucoup, donc a tour italien pourra être une bonne
excuse pour les visiter.
Gaë Bolg a
désormais totalement tiré un trait sur ses racines auvergnates
et se consacre exclusivement à son amour des menhirs. Une bonne
caisse de bouteilles de Chianti devrait néanmoins facilement
persuader Nostre Grand Maistre de reconsidérer la question
et de la nécessité de visiter les volcans italiens!
www.myspace.com/gaebolg
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