Intervista
by Anialf
Questa
potrebbe essere la solita intervista di rito, dove si parla quasi
esclusivamente di musica, di testi... invece ho pensato di trasformarla
soprattutto in una chiacchierata con un amico... dove sì, ovviamente,
ci si confronterà col nuovo lavoro, ma soprattutto vuole essere
la conferma che un'amicizia, anche se a distanza, se è vera
può anche essere scritta e ricordata su un sito... senza però
dimenticare che sto parlando con Albireon... dunque a volte mi rivolgerò
personalmente a Davide, a volte all'intero gruppo...
…
Davide, ricordo quando ti conobbi di persona... ero appena uscito
da 45 giorni di ospedale, ancora non sapevo se e come ce l'avrei fatta,
e tu venisti fino in ufficio da me a portarmi di persona il vostro
demo “Disincanto”... poi ci saltai fuori, con dei problemi che ancora
dopo tanti anni mi porto dietro, e proprio per questo non ho molta
memoria di quel che ci dicemmo in quell'oretta...
Ricordo
bene anche’io Alfredo, allora facevo ancora il chimico del latte e
venni in ufficio da te dopo un bel giretto mattutino di campionamento
nelle stalle. Di certo non dovevo profumare di violette, ma la tua
cortesia mi ha aiutato a superare l’imbarazzo! Non sapevo nulla di
te, sapevo solo che avevi trovato qualcosa nella nostra musica e che
volevi approfondirne la conoscenza. Quello che capii parlandoti era
che la tua sensibilità superiore alla media ti avrebbe permesso
di “sentire” quello che avevo dentro e che di riflesso finisce inevitabilmente
nella musica di Albireon.
…
E poi ci fu il concerto che noi di LaRoseNoire organizzammo con Albireon
e Sonne Hagal... che splendida serata! Non ci fu tanta gente (come
spesso accadeva e accade, purtroppo... e dobbiamo ringraziare l'incoerenza
della nostra 'scena' se ci sono sempre meno eventi di questo tipo...)
ma la rammento come un momento intenso: voi tutti come lo ricordate?
Una
splendida serata senz’altro, che tra l’altro ha cementato l’ amicizia
con Sonne Hagal, con cui in seguito abbiamo collaborato per “Indaco
EP” e per lo split “Ahren”. Eravamo decisamente molto emozionati,
in fondo, nonostante le nostre precedenti esperienze, era l’esordio
live per Albireon e non sapevamo bene come il pubblico avrebbe reagito,
soprattutto di fronte alle parti più sperimentali. Nonostante
questo, ricordo un set intenso ed un pubblico attento, oltre ad una
atmosfera intima e raccolta che ci ha permesso di dare il massimo.
Ho ricordi bellissimi e indimenticabili di quella sera, come avere
ospite Oliver di Sonne Hagal a suonare e cantare con noi “Ala di Falena”,
e suonare la chitarra con loro su “Eismhad”, e per questo ringrazio
te e La Rose Noire. In effetti c’era veramente poca gente e mi sono
chiesto come mai un gruppo conosciuto come Sonne Hagal non abbia attirato
un pubblico più numeroso come in altre occasioni. Per il resto
non si può dire che sia un momento idilliaco per la musica
live per la cultura in genere, per cui un plauso va ai pochi coraggiosi
che non demordono.
…
avrei voluto seguirvi meglio nei successivi concerti, ma come sappiamo
la mia salute non me lo consentì più di tanto... e a
proposito di concerti, come pensate di promuovere il nuovo cd? Non
ho visto notizie di prossimi eventi, ma magari non ho ben controllato
in rete: avete qualche progetto live a breve?
Non
ci sono progetti particolari per promuovere il nuovo cd. Di certo
c’è una idea ambiziosa in ballo, ed è quella di suonare
l’intero album proiettando al contempo il film che lo completa, pubblicato
anche come dvd nella limited edition. Credo che l’emotività
delle immagini e la musica creerebbero davvero una atmosfera unica,
anche se emotivamente per me difficile da affrontare. E credo sarebbe
anche una sfida arrangiare i brani per un eventuale concerto, visto
che “I passi di Liù” è un disco nato da sperimentazioni
e sessions di registrazione, così istintive e casuali (se per
caso intendiamo la concatenazione di eventi e volontà di cui
non siamo pienamente coscienti), da obbligarci ad una forzata “ricostruzione”
dei brani e delle partiture musicali. Inoltre, se questo mai avvenisse,
dovrà essere una “rappresentazione” pensata e concepita in
un luogo capace di accogliere questi suoni e queste immagini nel modo
più intimo possibile. E’ materiale delicato, che male si presta
ad una fruizione veloce e fuori da un contesto emotivo adatto. Onestamente,
abbiamo suonato solo 5 volte dal vivo e, per quanto amiamo il concerto,
è sempre più difficile trovare tempo per provare in
modo accurato un live-set, per questo preferisco per ora non fare
piani. Certo, il concerto con Sonne Hagal nel 2005, la serata con
All My Faith Lost...a Ferrara nel 2007 ed il First Folk Alert a Prato
nel 2008, con Rome, Naevus e Yggdrasill sono tra le cose più
belle che mi ha regalato la musica, perciò non chiudiamo nessuna
porta, ma aspettiamo una occasione per rimetterci in gioco.
…
e adesso parliamo proprio del nuovo album: come ti ho già scritto,
la prima volta che lo ascoltai ne rimasi inquietato, probabilmente
perché, come ho anche scritto in recensione, sono partito dapprima
con le immagini del dvd, e poi dall'ascolto delle tracce... adesso
ritorno su questo tema: perché pensi che il mio primo giudizio
fu proprio di inquietudine, di freddo, di non-speranza...
Obiettivamente
l’atmosfera dell’album è piuttosto opprimente. Mi rendo conto
di come io sia portato a distillare in musica sensazioni assolutamente
negative. Forse, per una sorta di scambio, materializzandole in musica
riesco a liberarmene e vivere libero da macigni emotivi che altrimenti
mi trascinerebbero a fondo. La scelta dei suoni è istintivamente
surreale e desolata stavolta, salvo poi aprirsi in alcuni episodi
(e penso a “Gli Equiseti”, “Cendra” o “Cerbastri”) alla pura, dolce
malinconia del ricordare. D’altronde questo disco per me rappresenta,
e nasce, dall’elaborazione di un lutto, per cui sensazioni come l’inquietudine,
il senso di vuoto e lo scontro con la nostra fragile mortalità
non potevano certo generare suoni lievi e leggiadri. La speranza c’è
però, anche se sempre filtrata dalla mia sensibilità
ombrosa, e nasce dall’accorgersi di come una persona non muoia mai
del tutto, che l’amore dato e ricevuto resta, che ci sono luoghi in
cui chi ci ha lasciato ci parla ancora, se sappiamo ascoltare. Il
film “I passi di Liù” non è altro che una rappresentazione
visiva di quanto scorre al di sotto dei suoni, per certi versi li
completa, ne da una chiave di lettura. Io credo che sia come un sogno,
forse il sogno di una persona che negli ultimi istanti di vita, ritrova
i visi amati, vola sopra le nuvole dei luoghi in cui ha vissuto e
mentre il corpo affronta la sua natura mortale, si incammina verso
la verità. O verso Dio. O verso entrambi.
…
mi hai scritto che il cd è dedicato ad una persona cara, morta
qualche tempo fa, in particolare alle sue ultime ore di vita... ma
che questo non deve essere considerato un aspetto 'morboso' di questo
tuo ricordo, quanto una possibile metabolizzazione ed elaborazione
della sua perdita... potresti spiegarmi meglio, se lo ritieni opportuno,
questo aspetto, per me alla base di tutti i nuovi brani?
E’
molto difficile parlarne. In effetti è così però.
Avevo già provato ad esplorare questo evento in “Incantesimo”,
pubblicata su “Il Volo Insonne” nel 2005, ma evidentemente la trattazione
non
era stata esaustiva ed ho dovuto realizzare un intero album per provare
a metabolizzare quei momenti e renderli parte di me, in armonia con
il resto della mia personalità. Sto schematizzando ma in realtà
c’è ben poco di conscio in ciò che avviene componendo
musica. Ci si accorge spesso a posteriori di cosa è fluito
in un determinato brano o lavoro. Ho assistito le ultime ore di vita
di questa persona e mi sono rimaste dentro, con il loro carico di
dolore, di incredulità, di amore e sofferenza ma anche di incontro
intimo e diretto con la morte, “I Passi di Liù” è quasi
una via crucis attraverso quelle ore, in cui lo svolgersi degli eventi
si intrecciava con i ricordi di una vita. Se ascolti attentamente
l’album comprenderai facilmente come questa alternanza tra i due livelli
sia evidente, fino a concludersi, con “Gennaio”, in qualcosa di inesplorabile,
di incomprensibile, di sfuggente eppure così terreno, come
la morte del corpo. Certo, molte cose sono trasfigurate. La persona
di cui parlo non si chiama Liù e non è morta in una
sera di Gennaio. In più trasfigurare gli eventi è tipico
della memoria. Nel film l’aspetto “morboso” è stato sicuramente
amplificato, ma ho lasciato che Stefano e Massimo Romagnoli avessero
libertà assoluta, e quindi hanno sentito di dover approfondire
ciò che è la carne, la sua decadenza, il suo essere
comunque intrisa della luce dell’anima. Raccontare la morte di Liù
e sforzarmi di sentirla viva, non è per me qualcosa di malato
o morboso, è un gesto d’amore e una terapia per il dolore.
…
il distacco dalle persone a cui si è voluto molto bene, è
niente in confronto al ricordo che ogni giorno ci portiamo dentro,
e non è questione di essere 'oscuri', ma di sensibilità...
è anche vero che ognuno affronta questi ricordi come meglio
crede... c'è chi lo deve dimostrare apertamente, c'è
chi tiene tutto dentro... Tu ci sei perfettamente riuscito nella tua
musica, nei tuoi testi e nelle tue immagini... ritengo che il saper
creare musica sia un dono con cui si nasce, oppure pensi che si possa
anche acquisire col tempo e l'esperienza?
So'
benissimo che questo argomento non ti è estraneo. Questa sofferenza
è parte della vita di tutti. Io aggiungerei che non è
tanto una questione di volontà affrontare la perdita ed il
ricordo, ma soprattutto di necessità. Io ho avuto bisogno di
questo disco, un bisogno estremo, come quello di respirare o mangiare.
Non ho la più pallida idea del risultato umano ed artistico
di questa operazione, non mi pongo assolutamente il problema di aver
raggiunto uno scopo oppure no. So solo che io ho avuto la necessità
di esprimere questa sofferenza e questa speranza e di aver avuto vicino
un gruppo di persone che l’hanno fatta propria e resa in musica ed
immagini. Il resto è aleatorio ed indecifrabile. Certo, sono
una persona emotiva e sento a volte la necessità di esternare
ciò che provo, spesso con enfasi, a volte con ostentazione,
in una specie di “esibizionismo introverso” come diceva Sopor Aeternus,
ma con estrema sincerità ed onestà verso le mie stesse
emozioni. In fin dei conti sento il bisogno di crearmi uno scrigno
prezioso nella memoria, per poterlo guardare quando il mio cammino
starà per finire, e sapere in quel momento di aver vissuto.
A volte, nello scrigno, finiscono ricordi non dico alterati, ma ricchi
di un’aura di vissuto. Forse la stessa differenza che passa tra conservare
una fotografia o un quadro dello stesso ricordo. Hai presente “Big
Fish” di Tim Burton? Ecco, forse io e il protagonista abbiamo qualcosa
in comune! Per rispondere alla tua domanda, credo che creare sia un
istinto innato. Il tempo e l’esperienza possono darti o migliorare
gli strumenti per esprimerti, ma creare è soprattutto un bisogno
inconscio che può manifestarsi in tempi diversi, quando si
è pronti, ma che probabilmente è già dentro noi
stessi. Io ricordo che già a 10 o 11 anni fantasticavo su una
musica mia che fosse “triste, riflessiva e costruita su rumori e tastiere”,
come scrissi all’epoca su qualche quaderno.
…
perché avete deciso di aprire l'album con la traccia più
malinconica che Albireon abbia mai creato? Mi sembra che man mano,
il disco si apra sempre di più, e questo contrasta molto con
l'idea che ho di composizioni assai pessimiste... eppure hai appena
avuto una splendida bambina, ed il semplice metterla al mondo credo
sia un gesto di ottimismo per il futuro che ci attende...
“Liù
Dorme” è semplicemente l’inizio della riflessione, del ricordare,
del prendere coscienza che ciò che si sta svolgendo sotto i
tuoi occhi è senza ritorno. E’ cercare di capire dove si rifugia
l’anima quando il corpo diviene poco più di una macchina che
lavora con sempre meno efficienza. E’ dover vivere quella sofferenza
senza speranza, è sapere che non ci sarà un altro Inverno
da vivere insieme e che la persona che vedi dormire, in una pausa
del dolore, non sta in realtà dormendo ma si sta avviando verso
un luogo lontanissimo da te. Per questo andava posta all’inizio del
disco. Non so poi se realmente l’atmosfera si faccia più aperta,
trovo che l’album si apra realmente solo negli ultimi cinque minuti
di “Gennaio”, mentre accompagno con lo sguardo Liù che si allontana.
Non amo parlare di pessimismo ed ottimismo, parole troppo limitanti
per questo groviglio di sensazioni. La nascita di Maria Chiara ha
influenzato solo in piccolissima parte il disco e non credo si possa
leggere nella mia musica qualcosa che la riguardi. Posso solo dire
che per me e Paola, la gioia di aver ricevuto un dono così
grande come questa bambina sana e allegra, sia semplicemente impossibile
da esprimere a parole. E non mi vergogno ad ammettere quanto sia aperta
al futuro la nostra vita in tre, anche in questi tempi disillusi e
difficili.
…
mi sembra che “I passi di Liù” sia più da intendere
un concept-album, dove ogni brano è legato al successivo ed
al precedente: effettivamente l'ho sempre compreso come un lavoro
globale, e anche se inevitabilmente alcune tracce le preferisco ad
altre, si sarebbe anche potuto non mettere pause fra un brano e l'altro,
e sarebbe comunque risultato un lavoro unitario...
Il
disco è concepito senza pause e in molti casi i brani fluiscono
l’uno nell’altro senza soluzione di continuità, proprio perché
possa essere vissuto come una sequenza di emozioni, riflessioni ed
immagini, ognuna complementare e precedente a quella che la precede
o la segue. Al sonno di Liù segue l’inedia dei naufraghi, che
fa nascere il ricordo degli equiseti, la cui intensità riporta
alla deriva del dolore. E così via.
…
però nel contempo, credo che l'atmosfera globale sia stata
affrontata in modo diverso da canzone a canzone (perdona questo termine
un po' obsoleto): addirittura, come ho già scritto, ci sono
dei passaggi molto sperimentali, ci sono dei suoni in loop che ritornano
su se stessi e sui quali hai poi aggiunto i vari strumenti, o è
solo una mia impressione?
Si
certo, le canzoni sono tutte nate da sperimentazioni sonore di Stefano
Romagnoli o miei arpeggi di chitarra. La creazione delle basi dei
brani è stata istintiva ed immediata, subconscia insomma, tanto
che in in un paio di settimane ogni traccia era stata abbozzata. Questo
accadeva all’inizio del 2007. Il processo di evoluzione dei brani
ha poi richiesto un anno e mezzo di lavoro e solo quando essi ci sono
sembrati completi dal punto di vista strutturale e strumentale, abbiamo
sentito il bisogno di aggiungere la voce, dopo aver a lungo accarezzato
l’idea di un lavoro strumentale. Penso che la bellezza dei suoni ambientali
sia l’estrema intimità che racchiudono, quasi la materializzazione
del “rumore dei pensieri”. Per questo li abbiamo utilizzati in modo
più estensivo di come fatto in precedenza.
…
adesso una domanda a tutti: è chiaro che quando si parla di
Albireon, non si può non associarlo alla figura di Davide:
io stesso compio mentalmente questo errore, dimenticando che siete
comunque un gruppo, al di là che sia lui a comporre
musica e testi... avete mai pensato di pubblicare qualcosa sul quale
Davide avesse il solo ruolo di musicista? Magari si farebbe forse
più fatica a produrlo, e probabilmente Albireon prenderebbe
un suono diverso...
Io
posso dire che, seppur essendo evidente come Albireon sia nato dal
mio bisogno di esprimermi, siamo ora un gruppo a tutti gli effetti
e credo che la creatività degli altri trovi modo di colorare
il suono del gruppo in modo determinante. Ognuno è libero di
proporre liberamente idee e composizioni, e quando accade sono generalmente
cose molto belle e perciò impiegate per il progetto. Carlo
è con me da dieci anni, Stefano e Lorenzo da sette, ci conosciamo
bene e sappiamo come lasciare che ognuno abbia i suoi spazi. Ricordo
con piacere che un brano importantissimo per noi come “Le Rose di
Acrom” sia nato completamente dal pianoforte malinconico di Carlo.
Senza dimenticare che stiamo molto bene insieme, anche quando non
si parla di musica.
…
che io ricordi, ma come sai Davide sulla mia memoria non posso contare
molto, non mi pare di avere mai ascoltato voci femminili in Albireon:
è stata una scelta o non hai trovato voci che potessero amalgamarsi
con le tue composizioni? Oppure pensi che i tuoi testi, proprio perché
tuoi, debbano essere da te cantati, per renderli al meglio con tutte
le sfumature del caso?
Nessun
pregiudizio e in effetti, ci sono due episodi della nostra discografia
in cui Paola, mia moglie, ha registrato dei recitativi sui nostri
album ed in particolare nelle già citate “Incantesimo” e “Cendra”.
Certamente, sentendo così tanto i miei testi a livello intimo,
non riesco, nonostante la mia pochezza vocale, ad immaginare una voce
diversa dalla mia sui nostri dischi. Quando avviene, come con Ian
Read o Sonne Hagal, si tratta comunque di traduzioni o canzoni particolari.
Non ti nego che sentire però una voce diversa su un nostro
pezzo sia spesso una gioia. Abbiamo molte collaborazioni che speriamo
di poter realizzare presto in questa direzione.
…
so che il disco sta andando molto bene, è apprezzato e compreso,
un plauso alla Palace of Worms per aver avuto il coraggio, in un periodo
come questo, di pubblicarlo, anche nella versione col dvd... ed è
a proposito di quest'ultimo che Vi chiedo: come avete scelto le immagini?
Nella recensione non ne ho parlato molto, perché non sono capace
di descrivere il flusso di visioni che avete voluto trasmettere, ho
preferito consigliare di guardarlo e poi giudicarlo personalmente...
ma voi come lo vedete, come lo avete ideato?
Siamo
veramente felici ed entusiasti del lavoro che POW ha fatto per noi.
In un momento difficilissimo per l’industria discografica, che ha
negativamente colpito anche la nostra precedente label, la Cynfeirdd,
Guido Borghetti si è rimesso in gioco con quattro produzioni
di nicchia come il nostro album (la cui limited edition con cd+dvd
è assolutamente un lusso!), la compilation “Nikolaevka” in
cui siamo presenti con “Il Deserto dei Tartari”, brano a cui siamo
molto affezionati, O Quam Tristis e Second Skin. Non potevamo certamente
chiedere di meglio e speriamo che la fiducia di Guido sia ripagata.
Con nostro sincero stupore il disco sta piacendo molto alla critica.
Sappiamo che erano in molti ad aspettarsi da noi una evoluzione più
pop ed accessibile, ma il pensiero in realtà non ci ha mai
neppure sfiorato. Il film è stato creato con il contributo
di tutti, ma si basa sulle animazioni e sui dipinti di Massimo Romagnoli
e su mie riprese in varie locations, mentre il montaggio è
stato realizzato da Stefano Romagnoli. Il film è stato realizzato
con il processo inverso di quello usuale : in questo caso, avevamo
la colonna sonora e volevamo associare ad essa delle immagini. Per
fare questo e dare una rappresentazioni visiva al disco abbiamo scelto
di non adottare nessuna sceneggiatura e nessun limite. Abbiamo quindi
accostato immagini in modo istintivo, a tratti surreale, ma il risultato
finale è per noi assolutamente coerente e soprattutto emotivamente
riuscito. Credo non si possa descrivere, hai ragione tu, va visto
e se possibile vissuto. Ti dico solo che Liù vive in ogni immagine
e in ogni nota del lavoro. E questa è forse la magia più
grande di tutte.
…
bene ragazzi, Vi ringrazio di cuore per la lunga chiacchierata, e
come faccio di solito, lascio a Davide e a Voi tutti il compito, se
volete, di chiudere questa lunga ma indispensabile “intervista” come
meglio credete...
Non
possiamo che ringraziare chi apre la propria sensibilità, lo
strumento che ci rende esseri umani, alla nostra musica e condivide
con noi quanto scoperto. Facciamo sicuramente musica per noi stessi,
ma non siamo indifferenti a chi ci ascolta, ed è una grandissima
gioia ed una incommensurabile ricchezza scoprire che qualcuno, come
te Alfredo, ci “sente” allo stesso livello di emotività al
quale noi componiamo musica. E siamo anche felici che ognuno, possa
dare una lettura personale dei nostri lavori, che ha altrettanto valore
di quella che gli attribuiamo noi. Grazie per averci ascoltato.
Info:
www.albireon.it
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ALBIREON
“I Passi di Liù” CD+DVD (lPalace of Worms)
Appena ho avuto fra le mani il nuovo lavoro di Albireon, non
so perché ho avuto una strana sensazione, inquietudine soprattutto.
Cosa confermatami sin dal primo ascolto del disco, o meglio
forse mi sono lasciato suggestionare dall'aver visto prima il
dvd e poi aver ascoltato l'album. Comunque siano andate le cose,
vedrò di approfondire meglio il tutto con
l'intervista che sto preparando a Davide Borghi. Lui mi ha solamente
anticipato via e-mail, con la consueta sensibilità che lo ha
fatto da subito diventare mio 'amico di email' (oltre che aver
avuto il piacere di organizzare con lui un concerto qualche
anno fa), che il disco rispecchia il ricordo di sua nonna morta
4 anni fa, o meglio “le sue ultime 4 ore di vita”. In senso
positivo, non come qualcosa “di morboso” ma piuttosto un modo
per ricordarne la sua figura. In realtà io continuo a vedere
nell'album (sì, nei brani, non nelle immagini) una serie di
percorsi che attanagliano alla gola, come leggere i sentimenti
di qualcun altro. E, ripeto, tanta tanta inquietudine. Probabilmente
non era nelle intenzioni del gruppo emiliano trasmettere quella
che io dico “incantevole sofferenza”, ma di fatto ritengo che
questa sia una definizione più che appropriata. Bene, finora
direte voi, ci hai rifilato le solite elucubrazioni mentali,
ma stringendo: e la musica? Bene, quella va solamente ascoltata,
come si può pretendere di descrivere un continuo, ininterrotto
flusso emozione? A partire dall'iniziale “Liù dorme” che introduce
l'ascolto in un loop musicale sul quale la voce di Davide vuole
coinvolgere e circondare, a “Naufraghi” e “Gli equiseti” con
la loro malinconica base di piano; l'idea di un viaggio in mezzo
ad un mare scuro ritorna con “Deriva” e “Marea”, sperimentali
e sempre condotti da deboli loop che si chiudono a cerchio dentro
di loro. Chi si aspettava il “solito dischetto neofolk” rimarrà
deluso e, se ha un minimo di sensibilità, sconvolto da tanta
ricchezza di suoni, di vibrazioni, di voci a volte anche quasi
urlate, come a rimarcare un ricordo che non deve spegnersi.
Ultimo appunto: “Cerbastri”, persino bucolica negli arrangiamenti,
forse questo sì un episodio che può essere considerato 'neofolk',
e la conclusiva “Gennaio” che parte quasi in stile 'noise' per
poi introdurre pian piano i diversi strumenti, di cui la voce
è inevitabilmente parte. E il dvd? Beh, quello non ha bisogno
di alcuna parola, è semplicemente purezza, (dis)incanto e turbamento:
anche qui si tratta di un flusso ininterrotto di sensazioni,
e mai come in questo caso, ciascuno ne dovrà trarre le proprie
conclusioni, anche se avverto: sembra quasi che le immagini
mutino al mutare dello stato d'animo del momento in cui le si
guarda, col cuore, naturalmente, non di certo con i soli occhi.
(Anialf)
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ALBIREON
"Indaco EP" CD-EP (Cynfeirdd)
Non c'è niente da fare: Albireon si
presentano sempre più come una delle conferme più concrete nel
nuovo panorama dark italiano. In questa occasione il gruppo
di Davide Borghi fa uscire un EP di 6 pezzi, ma a differenza
del passato, dove coesistevano più generi in ciascuna composizione,
stavolta il quartetto emiliano si cimenta con il più puro neo-folk,
dimostrando che il genere non è solamente appannaggio delle
più blasonate band del centro Europa. Ogni singolo brano, guidato
dalla voce di Davide, è alimentato da correnti riconducibili
a band quali Forseti, Orplid, Death in June, Ostara, ecc. Ho
saltato appositamente due nomi importanti di questo filone,
poiché hanno direttamente partecipato alla realizzazione dell'album:
i Sonne Hagal, che hanno prestato la voce di Oliver in "Somewhere
far from heaven", e nientemeno che mr Ian Read che canta in
"Awakening dance" (qui fortemente rielaborata assieme ad "Ala
di falena", entrambi brani originariamente previsti nel cd "Il
volo insonne"). Chiude poi il cd il bel live "Il testamento
dell'avvelenato". Che dire? Gli Albireon hanno corso il rischio
di cadere nell'anonimato di tante band del genere folk-apocalittico,
che ormai stanno veramente rincorrendosi una con l’altra, ma
ne sono usciti secondo me in maniera egregia. Splendida confezione
slim-dvd, con stampati all'interno i testi da leggere e rileggere
più volte, poiché sono parte indispensabile (e non di contorno)
delle composizioni.
(Anialf)
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