0.3 The Velvet Underground

Contemporanei ai Doors ma quasi totalmente misconosciuti, e lontani da loro quanto il continente americano, erano i newyorchesi Velvet Underground. Scandalosi, provocatori, hanno creato una musica così originale da risultare totalmente unica, e quindi incomprensibile, per i loro tempi.
Sterling Morrison era un alto e allampanato chitarrista ritmico, amante del rithm & blues e del rock'n'roll americano più autentico, oltre che dai suoni distorti della chitarra (il feedback o larsen, cioè il fischio che l'amplificatore emette per un'eccessiva distorsione dello strumento). Maureen (Moe) Tucker era un'autodidatta senza la minima idea di come si dovesse suonare una batteria: lei metteva la cassa in verticale (di modo che le pelli risultassero sopra e sotto, come gli altri tamburi) e vi batteva sopra con una tribalità istintiva fino ad allora inedita nella storia del beat. Oltre a loro, due geni. Lou Reed (distorsione di lurid, lurido): lascivo e perverso ragazzino tossico newyorchese, chitarrista corrotto con un amore folle per il rock'n'roll e per la sporcizia sociale dov'era costretto a vivere (ed una voce particolarmente nasale e viziosa); e John Cale: nobile e distaccato europeo (gallese, per la precisione), raffinato suonatore di viola (e di basso) fuori dagli schemi. A questa miscela esplosiva, poco prima della registrazione del primo album, il grande Andy Warhol, allora loro scopritore e produttore, aggiunse l'algida figura di un'altra cantante europea: la teutonica e bellissima Nico.
The Velvet Underground and Nico, il capolavoro registrato nel 66 ma che non vide la luce prima dell'anno dopo, fu lo stordente risultato di questo quintetto irripetibile. Ai rock'n'roll stranianti cantati da Reed, ed arrangiati con feedback lancinanti, si contrapponevano ballate più lente ed oniriche, ma non meno destabilizzanti. Inni all'eroina, figure di strada (spacciatori e prostitute), chitarre distorte, una viola in dissonanza (o in tenebroso contrappunto), percussioni tribali decoravano una perla musicale troppo ricca per essere brevemente recensita.
Ai nostri fini basteranno due brani. Venus in Furs fu l'inno alla perversione sessuale, lento e sinistro, con una sezione ritmica ipnotica quanto mai ed una viola dominante e beffarda a scandire le battute. L'atmosfera, sebbene ritmata, risulta oscura e quasi opprimente, con la voce perversa di Lou Reed nel suo cantato/recitato che descrive lucidi stivali in pelle nera ed implacabili dominatrici dell'eros. Ma ancora più dark e sorprendente sarà All Tomorrow's Parties, ballata maestosa suonata praticamente su una sola nota (e con una sola variante), chitarre distorte e percussione tribale che accompagnano ritmicamente la voce gelida e profonda di Nico. Alle parti vocali si succedevano distorsioni di chitarre in libertà, sempre sulla stessa nota, a creare un effetto ipnotico e contemporaneamente epico.
Si può senz'altro affermare che All Tomorrow's Parties e Venus in Furs siano, insieme a The End dei Doors, le prime autentiche canzoni dark della storia del rock. Forse bisognerebbe aggiungere, sempre dallo stesso disco, la dissonante e meno fortunata The Black Angel Death Song. Il disco seppe procurarsi un seguito di culto, sebbene numericamente troppo esiguo.
Lasciata Nico a proseguire la sua carriera solista e mollati da Warhol, mai seriamente interessato ad un prodotto musicale, i 4 si ritrovavano però fortunatamente una casa discografica, la Verve, vincolata per contratto. Sentendosi liberi, essi diedero libero sfogo alla loro vena musicale, probabilmente aiutati da massicce dosi di sostanze stupefacenti.
Il risultato di tutto ciò fu, nel 1968,
l'uscita di White Light, White Heat, forse il primo vero LP dark mai pubblicato, anche se qui la definizione risulta quanto meno impropria. Nella realtà si tratta di un disco di rock'n'roll minimale e completamente straniato. Indiavolate sarabande chitarristiche (la viola sembra messa in disparte) arrangiano pezzi frenetici e claustrofobici (soprattutto per il gusto di allora; oggi, si sa…), quindi con quest'effetto "oscuro" ed opprimente, che descrivono i protagonisti di sempre: tossicomani alla ricerca di una dose, puttane e travestiti, papponi e disperati di ogni giorno nella piccola e squallida epica della loro vita quotidiana. "La solitudine che, nel clangore della grande metropoli, offre lo spunto per fantasie macabre".
Capolavoro e compendio dell'intero album sarà la disarticolata e chilometrica (più di 17 minuti!) Sister Ray, anche qui il suggello finale. Un continuo martellare della batteria fa da ipnotico sfondo ai pieni ed ai vuoti di chitarre incredibilmente dissonanti e distorte (un tour de force per Reed e Morrison), con la voce ora epilettica ora spiritata che inanella una sorta di nonsense ripetitivo ("ho fatto come Sister Ray, sorella Raggio, ha detto"). Le parole che meglio esprimono l'atmosfera di questo brano non sono di chi scrive: "il serpente si snoda come un lungo sabba, una danza rituale, un happening di autodistruzione collettiva, nell'eruzione continua di conati osceni, di tremiti psicopatici, di violenze perverse, di deliri ossessivi; una montagna pulsante di suoni che deflagra in tutte le direzioni (…) tripudio drammatico di esasperata angoscia, mistica anarchica di liberazione degli istinti primitivi, seduta psicanalitica, espansione della coscienza, scrittura automatica, ode al caos della metropoli, inno alla pazzia universale" (Scaruffi).
Totalmente ignorati dal pubblico, talvolta persino osteggiati dalla critica, i Velvet Underground, dopo qualche altra registrazione, perderanno uno dei loro elementi più importanti: John Cale, stanco anche dei continui scontri con l'altro leader. A questo punto Lou Reed porterà il gruppo verso i lidi del rock'n'roll di ottima fattura, quasi allegro e rassicurante, di Loaded (1970), il primo album a godere di un minimo riconoscimento.
Ma tra i due momenti ci sarà tempo per un altro LP, lo stranissimo omonimo del 69, in cui Reed, come un tossico in "down", cioè nella depressione che segue lo sballo, presenta una manciata di canzoni melodiche e soffuse, molto intime. In quest'opera sicuramente affascinante ma poco rilevante nei confronti della tematica di questo scritto, si deve però registrare l'ultimo "pegno" dei Velvet alla musica oscura. The Murder Mystery risalta come un fungo, fra le atmosfere ovattate del disco, con un riff in rapida scala ascendente della chitarra, accompagnata da un'inedita tastiera distorta, ed intervallata da momenti di canto onirico. La delicata voce di Mo' Tucker si sovrappone ai metronimici Reed e Morrison che cantano contemporaneamente due parti diverse sui due canali stereo, in una sorta di allucinante ed incontrollato flusso di coscienza, forgiando così uno straniante gioiellino, sperimentale e sinistro insieme.
Sperimentatori delle prime atmosfere musicalmente dark (All Tomorrow's Parties), I Velvet Underground lo saranno soprattutto per le tematiche depresse di sconfitta e frustrazione. Ad esse aggiungono il "lato oscuro" non tanto del personale, quanto del sociale, descrivendo la metropoli in cui vivevano a tinte fosche e compiaciute nell'ostentare degrado e depravazione. Perso Cale diventeranno soprattutto il gruppo del sinistro satiro Lou Reed, ma dopo un paio di altri dischi, comunque sempre troppo poco capiti dal grande pubblico, disperderanno le loro tracce. Non Reed (e neppure Cale), protagonista di una fulgida carriera solista nel segno del suo recitato rock'n'roll, che è andata via via limando le tinte più maledette, ripulendosi del pesante carico di degrado umano.
Saranno clamorosamente osannati negli anni 80, dopo una lenta riscoperta anche da parte di certi "eroi" del dark, e forniranno un valido modello di riferimento quando le sonorità gotiche, ormai ripetitive e di maniera, avranno stancato il loro vasto pubblico.

indice - avanti