Contemporanei
ai Doors ma quasi totalmente misconosciuti, e lontani da loro quanto
il continente americano, erano i newyorchesi Velvet Underground. Scandalosi,
provocatori, hanno creato una musica così originale da risultare totalmente
unica, e quindi incomprensibile, per i loro tempi.
Sterling Morrison era un alto e allampanato chitarrista ritmico, amante
del rithm & blues e del rock'n'roll americano più autentico, oltre
che dai suoni distorti della chitarra (il feedback o larsen,
cioè il fischio che l'amplificatore emette per un'eccessiva distorsione
dello strumento). Maureen (Moe) Tucker era un'autodidatta senza la
minima idea di come si dovesse suonare una batteria: lei metteva la
cassa in verticale (di modo che le pelli risultassero sopra e sotto,
come gli altri tamburi) e vi batteva sopra con una tribalità istintiva
fino ad allora inedita nella storia del beat. Oltre a loro, due geni.
Lou Reed (distorsione di lurid, lurido): lascivo e perverso
ragazzino tossico newyorchese, chitarrista corrotto con un amore folle
per il rock'n'roll e per la sporcizia sociale dov'era costretto a
vivere (ed una voce particolarmente nasale e viziosa); e John Cale:
nobile e distaccato europeo (gallese, per la precisione), raffinato
suonatore di viola (e di basso) fuori dagli schemi. A questa miscela
esplosiva, poco prima della registrazione del primo album, il grande
Andy Warhol, allora loro scopritore e produttore, aggiunse l'algida
figura di un'altra cantante europea: la teutonica e bellissima Nico.
The Velvet Underground and Nico, il capolavoro registrato nel 66 ma
che non vide la luce prima dell'anno dopo, fu lo stordente risultato
di questo quintetto irripetibile. Ai rock'n'roll stranianti cantati
da Reed, ed arrangiati con feedback lancinanti, si contrapponevano
ballate più lente ed oniriche, ma non meno destabilizzanti. Inni all'eroina,
figure di strada (spacciatori e prostitute), chitarre distorte, una
viola in dissonanza (o in tenebroso contrappunto), percussioni tribali
decoravano una perla musicale troppo ricca per essere brevemente recensita.
Ai nostri fini basteranno due brani. Venus in Furs fu l'inno
alla perversione sessuale, lento e sinistro, con una sezione ritmica
ipnotica quanto mai ed una viola dominante e beffarda a scandire le
battute. L'atmosfera, sebbene ritmata, risulta oscura e quasi opprimente,
con la voce perversa di Lou Reed nel suo cantato/recitato che descrive
lucidi stivali in pelle nera ed implacabili dominatrici dell'eros.
Ma ancora più dark e sorprendente sarà All Tomorrow's Parties,
ballata maestosa suonata praticamente su una sola nota (e con una
sola variante), chitarre distorte e percussione tribale che accompagnano
ritmicamente la voce gelida e profonda di Nico. Alle parti vocali
si succedevano distorsioni di chitarre in libertà, sempre sulla stessa
nota, a creare un effetto ipnotico e contemporaneamente epico.
Si può senz'altro affermare che All Tomorrow's Parties e Venus
in Furs siano, insieme a The End dei Doors, le prime
autentiche canzoni dark della storia del rock. Forse bisognerebbe
aggiungere, sempre dallo stesso disco, la dissonante e meno fortunata
The Black Angel Death Song. Il disco seppe procurarsi un seguito
di culto, sebbene numericamente troppo esiguo.
Lasciata Nico a proseguire la sua carriera solista e mollati da Warhol,
mai seriamente interessato ad un prodotto musicale, i 4 si ritrovavano
però fortunatamente una casa discografica, la Verve, vincolata per
contratto. Sentendosi liberi, essi diedero libero sfogo alla loro
vena musicale, probabilmente aiutati da massicce dosi di sostanze
stupefacenti.
Il risultato di tutto ciò fu, nel 1968, l'uscita di White
Light, White Heat, forse il primo vero LP dark mai pubblicato, anche
se qui la definizione risulta quanto meno impropria. Nella realtà
si tratta di un disco di rock'n'roll minimale e completamente straniato.
Indiavolate sarabande chitarristiche (la viola sembra messa in disparte)
arrangiano pezzi frenetici e claustrofobici (soprattutto per il gusto
di allora; oggi, si sa
), quindi con quest'effetto "oscuro"
ed opprimente, che descrivono i protagonisti di sempre: tossicomani
alla ricerca di una dose, puttane e travestiti, papponi e disperati
di ogni giorno nella piccola e squallida epica della loro vita quotidiana.
"La solitudine che, nel clangore della grande metropoli, offre
lo spunto per fantasie macabre".
Capolavoro e compendio dell'intero album sarà la disarticolata e chilometrica
(più di 17 minuti!) Sister Ray, anche qui il suggello finale.
Un continuo martellare della batteria fa da ipnotico sfondo ai pieni
ed ai vuoti di chitarre incredibilmente dissonanti e distorte (un
tour de force per Reed e Morrison), con la voce ora epilettica ora
spiritata che inanella una sorta di nonsense ripetitivo ("ho
fatto come Sister Ray, sorella Raggio, ha detto"). Le parole
che meglio esprimono l'atmosfera di questo brano non sono di chi scrive:
"il serpente si snoda come un lungo sabba, una danza rituale,
un happening di autodistruzione collettiva, nell'eruzione continua
di conati osceni, di tremiti psicopatici, di violenze perverse, di
deliri ossessivi; una montagna pulsante di suoni che deflagra in tutte
le direzioni (
) tripudio drammatico di esasperata angoscia,
mistica anarchica di liberazione degli istinti primitivi, seduta psicanalitica,
espansione della coscienza, scrittura automatica, ode al caos della
metropoli, inno alla pazzia universale" (Scaruffi).
Totalmente ignorati dal pubblico, talvolta persino osteggiati dalla
critica, i Velvet Underground, dopo qualche altra registrazione, perderanno
uno dei loro elementi più importanti: John Cale, stanco anche dei
continui scontri con l'altro leader. A questo punto Lou Reed porterà
il gruppo verso i lidi del rock'n'roll di ottima fattura, quasi allegro
e rassicurante, di Loaded (1970), il primo album a godere di un minimo
riconoscimento.
Ma tra i due momenti ci sarà tempo per un altro LP, lo stranissimo
omonimo del 69, in cui Reed, come un tossico in "down",
cioè nella depressione che segue lo sballo, presenta una manciata
di canzoni melodiche e soffuse, molto intime. In quest'opera sicuramente
affascinante ma poco rilevante nei confronti della tematica di questo
scritto, si deve però registrare l'ultimo "pegno" dei Velvet
alla musica oscura. The Murder Mystery risalta come un fungo,
fra le atmosfere ovattate del disco, con un riff in rapida scala ascendente
della chitarra, accompagnata da un'inedita tastiera distorta, ed intervallata
da momenti di canto onirico. La delicata voce di Mo' Tucker si sovrappone
ai metronimici Reed e Morrison che cantano contemporaneamente due
parti diverse sui due canali stereo, in una sorta di allucinante ed
incontrollato flusso di coscienza, forgiando così uno straniante gioiellino,
sperimentale e sinistro insieme.
Sperimentatori delle prime atmosfere musicalmente dark (All Tomorrow's
Parties), I Velvet Underground lo saranno soprattutto per le tematiche
depresse di sconfitta e frustrazione. Ad esse aggiungono il "lato
oscuro" non tanto del personale, quanto del sociale, descrivendo
la metropoli in cui vivevano a tinte fosche e compiaciute nell'ostentare
degrado e depravazione. Perso Cale diventeranno soprattutto il gruppo
del sinistro satiro Lou Reed, ma dopo un paio di altri dischi, comunque
sempre troppo poco capiti dal grande pubblico, disperderanno le loro
tracce. Non Reed (e neppure Cale), protagonista di una fulgida carriera
solista nel segno del suo recitato rock'n'roll, che è andata via via
limando le tinte più maledette, ripulendosi del pesante carico di
degrado umano.
Saranno clamorosamente osannati negli anni 80, dopo una lenta riscoperta
anche da parte di certi "eroi" del dark, e forniranno un
valido modello di riferimento quando le sonorità gotiche, ormai ripetitive
e di maniera, avranno stancato il loro vasto pubblico.
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